Dati Anagrafici:
Nome: Edward
Cognome: Von Falsteng
Soprannome: The White Night
Età: 27
Descrizione fisica:Alto 1,90 metri, elegante, di bella presenza e dai gusti raffinati, Edward ha un fisico allenato e dei muscoli ben definiti e temprati. Non conserva questa forma fisica per chissà quale concetto di vanità, per attirare l’attenzione o per altro: semplicemente ritiene sia importante mantenere un buon livello di forma fisica per evitare di impigrirsi. Inoltre, l’aspetto con cui ci si presenta è il biglietto da visita per ogni nuova conoscenza e per evitare di rimanere sgradito; inoltre, un vero gentiluomo si presenta sempre al proprio meglio.
Capelli viola scuro, tratto estremamente insolito per la sua casata, gli ricadono fino a metà del collo, mentre di fronte gli cadono ai lati e di fronte al volto in un disordine che gli è naturale.
Edward ha un viso dai tratti delicati, ma decisi; nei suoi occhi scuri brilla perennemente una scintilla di divertimento, accompagnata da un sorrisetto irritante che non manca mai.
Il suo vestiario solito spazia da abiti tremendamente eccentrici, come un frac bianco immacolato, completo di cilindro, bastone, monocolo e mantello, in realtà ricordi della vecchia vita nel castello di famiglia, (benchè Edward non lo ammetterebbe mai sente un po’ di nostalgia per quelle serate eleganti), fino a passare ad abiti casual normalissimi come magliette, jeans, tute e chi più ne ha più ne metta.
Il suo vestiario preferito, però, resta un lungo impermeabile di pelle nera a collo alto e chiuso da cinghie, pantaloni e scarponi anch'essi neri e guanti a mezze dita dello stesso colore.
Descrizione psicologica: Ribelle, insofferente per le regole, perennemente in cerca di qualcosa, Edward si potrebbe descrivere come “un’inguaribile cerca-guai”; odia la vita tranquilla, a suo dire talmente noiosa da potersi accomunare a una malattia con una pallottola come unico rimedio, e farebbe qualsiasi cosa pur di sfuggire alla noia, dall’abbattere un palazzo a rubare le caramelle a un bambino.
Il lungo isolamento nel castello di famiglia lo ha portato a sviluppare un temperamento coraggioso e curioso, nonché una grande immaginazione romantica. Come un bambino, si appassiona e trova tutto interessante, cosi come gli viene naturale trovare il lato bello di tutte le cose; dal suo punto di vista la vita è una meravigliosa avventura e morte e dolore sono solo un piccolo prezzo da pagare per abbeverarsi alla fonte della libertà.
Dopo aver passato una soffocante vita di rigida etichetta, ora la sua regola è non avere vincoli e sfogare ogni sua passione e desiderio, il tutto sempre con un impeccabile comportamento da gentiluomo perfettamente attinente al bon-ton, ovviamente.
Quindi, cos’è che cerca Edward?
Vivere, vivere e ancora vivere. Vivere fino ad essere sazio e felice, dando tutto ciò che ha senza mai avere nessun rimpianto. Dal suo punto di vista da totale scavezzacollo, i codardi, i prepotenti e chi non ha il coraggio di mettersi in gioco per vivere o deve sfogare le proprie debolezze sugli altri è un mollusco inutile e meriterebbe di fare una brutta fine.
Se ne incaricherebbe lui stesso di tale atto misericordioso, se non fosse stato cosi impegnato a fare ciò che voleva.
Egoista? Forse. Ma anche perchè la sua seconda regola è la tolleranza. Assassini o venditori di torrone, per Edward ognuno può fare ciò che vuole, non ha nessun problema, a parte le categorie sopraccitate.
Ma Edward crede che ognuno debba vivere con le proprie forze senza chiedere aiuto agli altri, decidendo giorno per giorno cosa fare e come utilizzare la propria vita. I deboli perdono e i forti vincono: questa è la sua filosofia e varrebbe anche se tra i deboli dovesse finirci lui un giorno.
D’altra parte, questa sua apparentemente totale spensieratezza coincide anche con una fredda capacità di calcolo e una spregiudicata ambizione che lo spinge a cercare di ottenere sempre di più. Non è disposto ad essere troppo cattivo con il prossimo, beninteso, ma sono pochi gli altri limiti che intende imporsi per la propria scalata al successo, sia esso per posizioni nella società o semplice potere.
Background: “In nome della Casata”.
Quante volte aveva sentito quella stupida frase?
In nome della Casata di quà, in nome della Casata di là...bleah.
Non ne poteva davvero più di quel posto.
Non ne poteva più di quei servitori dallo sguardo basso, delle cene e dei pranzi di famiglia passati al ritmo di un silenzio pesante come una cortina di piombo, dell’odore dei mobili antichi,dello scricchiolare del pavimento lucidato e dell’odore di chiuso.
Non ne poteva più degli orari, degli sguardi serie e carichi di aspettative dei parenti, del silenzio accusatorio del nonno quando sbagliava a completare la materializzazione, degli allenamenti continui, della disciplina snervante, delle coperte candide del letto, dei bisbigli appena accennati nella sera.
Non ne poteva veramente più di tutta quella vita, eppure lì, in quel castello perso in mezzo alle montagne n cui era stato rinchiuso fin da quando aveva 8 anni sembrava che non ci fosse altra possibilità di esistere che quella.
Ma lui non la voleva. Lui voleva vivere libero.
E pensare che lui aveva riso. Quando sua madre gli aveva svelato di appartenere a un’antichissima casata nobiliare e di essere fuggita insieme a quello che sarebbe diventato poi suo marito per crescerlo sotto il sole libero del Brasile, aveva riso.
Chi avrebbe scelto una vita passata in povertà che avevano loro quando si poteva averne una fatta di lusso e agi?
Allora, con il rumore della risacca delle onde nelle orecchie e il sole a scaldarlo, aveva riso.
Allora poteva farlo.
Dentro quel castello invece No. Lì dentro non si poteva ridere. Lì dentro c’era solo tanta Oscurità. Un’Oscurità che non dimentica, che non perdona, e che non aveva dimenticato come due suoi figli fossero fuggiti via dalle sue ombre.
Poteva ancora vederlo se chiudeva gli occhi: le fiamme che divoravano la loro casa, sua madre e suo padre uccisi di fronte ai suoi occhi e poi lui trascinato via da una stretta robusta, ancora bambino, ma con gli occhi pieni dell’orrore dei cadaveri dei propri genitori.
“In nome della Casata, i traditori vanno puniti”. Cosi aveva detto il nonno e aveva detto che lui avrebbe vissuto con loro, ma lui non lo ascoltava, le lacrime che gli offuscavano la vista.
Non avrebbe più riso per altri diciannove anni. Diciannove anni passati nell’Oscurità e nelle ombre, ad apprendere come controllare le ombre, a conoscere il passato forgiato nell’odio di quella casata a cui, volente o nolente, era stato costretto ad entrare a far parte.
Ma lui non la voleva quella vita. Lui voleva essere libero.
Aveva finto di cedere, facendo credere a tutti i suoi carcerieri di averlo vinto e che avesse piegato il proprio destino al loro , ma la sua non era che una maschera. Aveva imparato la lezione: l’odio sarebbe diventato la sua forza e l’odio per i suoi carcerieri fu ciò che lo spinse a crescere e ad
imparare. Tradizioni, usi di famiglia, tecniche di battaglia, etichetta, aveva appreso ogni cosa ed aveva cominciato la sua battaglia per conquistarsi la sua libertà. C’erano dei concorrenti, sciocchi miopi che avrebbero sprecato quell’occasione, a uno dopo l’altro li aveva tolti di mezzo.
I suoi carcerieri avrebbero dovuto essere davvero fieri di lui e in effetti lo fecero perchè aveva imparato la lezione.
“In nome della Casata, ecco a voi il mio erede. Colui che erediterà il ruolo di Capofamiglia”.
Applausi l’avevano salutato, applausi e inchini rispettosi. Per cosa?
Per essere diventato il principe di quella topaia?
Ma non aveva importanza.
Nessuno poteva tenergli testa ed era proprio alla supremazia che puntava. I suoi carcerieri volevano la forza per lui e quel castello era troppo stretto perchè potesse crescere ancora, cosi, fornitolo di mezzi e servitori, lo inviarono nel mondo esterno per apprendere e maturare ancora.
Esattamente come aveva sperato.
“In nome della casata, và, mio erede, e torna come il campione che porterà la nostra Casata ai fasti di un tempo”.
Dopo diciannove anni di Oscurità, mentre si inchinava a quel vecchio tronfio che diceva di essere il padre di sua madre, aveva sorriso. Aveva attraversato quelle porte come un bambino impaurito, ma ora a varcarle di nuovo era un uomo determinato e sicuro.
Sarebbe arrivato in alto o forse sarebbe caduto lungo la strada, ma non aveva nessuna importanza, perchè da quel momento la sua vita e le sue scelte divennero solo ed unicamente di sua proprietà. “Certo, per la casata, lo farò”.
Allineamento: Caotico Neutrale: "Lo Spirito Libero", un personaggio caotico segue esclusivamente il suo arbitrio. E' l'individualista definitivo. Mette la sua libertà sopra ogni altra cosa ma non lotta per difendere quella degli altri, respinge l'autorità, odia le costrizioni e si scaglia contro le tradizioni. Si tenga presente che un personaggio caotico neutrale può essere imprevedibile, ma che le sue azioni non sono dettate dal caso. Difficilmente sbatte contro un muro quando invece può attraversarlo, oppure buttarlo giù. Quando deve seguire il suo obbiettivo non ha rimorsi e toglie dalla sua strada chiunque, amico o nemico che sia. Non fa distinzione tra buono o cattivo, l'unica cosa che conta è esclusivamente se stesso.
Orientamento sessuale: Eterosessuale
Razza: Daineko:Ira e odio si ergono come fondamenti dell’origine di questa razza misteriosa, un odio che nacque nel XV secolo dalla rabbia cieca che alimentava la caccia alle streghe. Spinti dall’ossessionante necessità di assicurare alla giustizia divina ogni essere immondo che camminasse sulla loro oscura terra, frange estremiste della Santa Inquisizione giunsero all’estrema conclusione di combattere il fuoco con il fuoco, il male con il male, l’abominio con l’abominio; utilizzando un misto di scienza, arcane conoscenze alchemiche e magia nera, la stessa che dichiaravano di perseguitare, questi uomini riuscirono ad incrociare nell’impossibile: fondere l’uomo con l’animale, unire l’intelligenza di Adamo con la potenza dei felini più feroci per creare un’arma vivente capace di opporsi con successo alle orde dell’oscurità demoniaca. Peccato per loro che i due esemplari nati da questi folli esperimenti riuscissero a fuggire e a far perdere le proprie tracce. Braccati, disperati per aver perso la propria natura umana e colmi d’odio per quello che era un affronto imperdonabile, questi due fuggitivi, un maschio e una femmina, svanirono dalla storia, negando la propria esistenza al mondo e con essa il successo che quegli uomini folli pensavano di aver raggiunto. Da essi nacque una linea di sangue che si estese nascostamente nei secoli, una casata retta dall’odio e dal rigetto per gli uomini, che, benchè ne desiderasse la distruzione, non poteva ignorare come fosse stata essa a darle la vita. Da allora, i Daineko vivono una vita distaccata, intrappolati nella terribile contraddizione della propria nascita, spezzata tra odio per l’umanità che li ha resi dei mostri e il desiderio di poter tornare a camminare alla luce del sole proprio tra gli uomini. Un rapporto di odio-amore che ha accompagnato e tuttora tormenta questa razza impossibilitata a perdonare e tuttavia anche ad odiare completamente.
Membri di un'antichissima casta nobiliare, i Daineko si distinguono dai normali esseri umani solo per alcuni particolari, a partire da un paio di piccole orecchie feline, denti leggermente più lunghi ed affilati, pelle lievemente ambrata e il colore dorato della peluria; ma benchè sia facile scambiare il loro aspetto per quello di un normale essere umano, il loro lato selvaggio gli impedisce di integrarsi nella società umana, isolandoli totalmente; infatti, la forza del mondo animale scorre violenta nelle loro vene, rendendo il loro corpo più veloce, più forte e più reattivo di qualsiasi uomo. Rafforzato dal suo odio e dai sensi donatigli dal proprio lato animale, un Daineko è un predatore implacabile.
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