[Lavoro] Non è col dire miele miele che la dolcezza viene in bocca

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    Guardò i piedi. O meglio, provò a guardarsi i piedi. Ma, puff, magia! Erano scomparsi. Nel mezzo era apparsa una collina che le impediva la visuale. No, non era una di quelle collinette morbide, di quei paesaggi di campagna rivestiti di grano. No, signori. Era quello che a scuola i professori di geografia definivano come "altopiano". Tondo e esteso fin oltre la vista sia in grado di giungere. Si sentiva come se avesse un cocomero infilato per intero nella pancia. Si sbilanciò in avanti, portando il baricentro fuori fase per potersi vedere i piedi. Sì, per fortuna c'erano ancora entrambi. Fino a qualche minuto prima non avrebbe avuto il coraggio di affermarlo, né lo avrebbe potuto dire con certezza. Ah, che fatica la vita. Quel giorno lavorativo era stata spedita, per la prima volta dopo... Dopo secoli, dietro al banco a servire alla clientela. Lei, che serviva sue potenziali vittime, porgendo dolci su cui non aveva impastato neanche per pochi minuti le sue mani. Che amarezza. Quella era proprio una giornata no. Era morto uno dei suoi pesciolini preferiti, la sua pancia era un pallone aerostato in libera uscita e ora questo. Proprio un bel giorno. Sorrise tristemente ad una signora che se ne andava, compiaciuta del proprio acquisto. Dentro di sé aggiunse malignamente che le sarebbe finito tutto sui fianchi. La guardò meglio, e le predisse anche un bel po' di cellulite nel sedere. La sua faccia sembrava particolarmente infantile in quel momento. La bocca era raccolta in mille pieghette imbronciate, le sopracciglia accigliate piegavano verso il suo delizioso nasino all'insù, in quel momento leggermente dilatato sulle narici. No, non era proprio lo specchio della venditrice. Loki scalciò silenzioso dentro di lei. Ultimamente si era fatto davvero energico e la ginecologa assicurava che non c'erano problemi e la gravidanza procedeva liscia come l'olio, sebbene leggermente più veloce del solito. La donna non sapeva cosa rischiava se fosse accaduto qualcosa alla gestante o al nascituro. Misaki era sicura che il suo innamorato, almeno in questa circostanza, avrebbe avuto una reazione molto umana e protettiva. Sebbene certamente le sue possibili azioni future non avrebbero avuto nulla di umano. Ma lo capiva. Il pensiero di perdere il piccolo che portava in grembo la annientava. Che qualcuno si volesse vendicare sullo zombie colpendo la sua progenie era uno scenario futuro forse non così astratto. Spesso si svegliava nel cuore della notte, madida di sudore e il petto ansante. Si sentiva come se qualcuno la stesse osservando da vicino, con troppo interesse. Dopo ciò a volte passavano ore, prima di riprendere sonno.
    "Sì buongiorno, senta mi dia una di quelle torte buonissime al cioccolato. Ah sì e poi le volevo ordinare una sacher torte per il prossimo venerdì. Possibilmente a due strati e con la scritta 'Happy b-day'. Ha segnato?" La signora davanti a lei, sulla trentina, era entrata come un tornado, sparando parole a destra e manca. Poi notò la pancia. Non era la suo livello ma si capiva benissimo cosa stava accadendo. Mentre le porgeva la torta al cioccolato, la ringraziò e le fece le congratulazioni per la gravidanza. Mai fu fatto errore più grave. "E chi cazzo sarebbe incinta qui, eh? La mia è una malattia! Senta lei si limiti al suo lavoro ok? Delle sue congratulazioni non ci faccio niente." E dopo aver lasciato i soldi se ne andò, arrabbiata come una vipera. Misaki era attonita. E anche tremendamente mortificata. Rimase per un paio di minuti ferma immobile, a guardare la porta spalancata da cui se ne era andata tutta imbufalita. Alla fine riuscì a riprendersi e scosse il capo. Le guance ora erano rosse dalla vergogna. Come aveva potuto travisare così? Non lo sapeva, ma di una cosa era certa. Ora era lei quella arrabbiata. Come diavolo si permetteva di trattarla a quel modo? Non era stata scortese, aveva solo sbagliato non volendo le parole. No, non se la sarebbe cavata con così poco. Chissà magari aveva voglia di vedersi davvero con meno pancia... Poteva aiutarla lei a farla diminuire... Guardò l'orologio: la sua rivalsa avrebbe dovuto aspettare al meno altre 3 ore di lavoro. Entrarono in quel momento due bambini entrambi sotto i 7 anni e le chiesero due bombe alla crema. Che carini. Terribilmente carini. I suoi occhi erano tornati dolci e gentili. Le loro mani paffutelle incontrarono le sue quando le porsero i soldi. E si immaginò Loki alla loro età. No, impossibile. Se avesse seguito le orme del padre probabilmente alla loro età avrebbe avuto una lanterna in mano e una vittima da torturare nell'altra. Sospirò ad alta voce mentre prendeva un dolce alla frutta. Lo assaggiò, divorandolo quasi, come fanno tutte le donne quando hanno una crisi di pianto a breve. Era un po' insipido. Si affacciò nel retrobottega dove gli occhi di Risha l'aspettavano infastiditi. No, forse non era un buon momento per avanzare delle critiche. Tornò alla sua postazione e si sedette su uno degli alti sgabelli. E si guardò oltre la pancia. Era difficile guardare in giù.
     
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    L'ennesimo pomeriggio passato dietro al bancone. Ormai era diventato il suo posto fisso. Il ricettario era quasi concluso, nel retrobottega ingombrava troppo e lei era troppo depressa per non poter lavorare. Aveva bisogno di soldi. Per adesso e per il futuro. Necessitava di un nuovo appartamento, più adatto alle sue esigenze, sia come madre che come Lanterna. Solo che non aveva avuto ancora voglia di andare alla banca, fare un preventivo, chiedere eventualmente un prestito... Né era ancora andata in una qualunque agenzia per poter cercare qualcosa sul campo. Non moriva dalla voglia di camminare per ore con quel pancione in pieno centro. Se solo avesse potuto guidare la sua fida moto... Ma anche quello era ormai un ricordo lontano. Sia per la sicurezza che per l'impossibilità materiale, erano quasi 3 mesi che non sfrecciava per le vie del centro. Il rombo cupo non le martellava nel cuore e il vento non le scompigliava i capelli. E l'ultima volta che era andata per mare era stato con Daniel, un secolo prima. Espirò rumorosamente. Guardò i dolci esposti e in un attimo fu in grado di distinguere le mani che li avevano confezionati. Quelli di Risha si notavano subito: erano molto simili a quelli che impastava lei. Sorrise dolcemente mentre il suo sguardo si posava su un mont Blanc. In quel momento entrò una giovane coppietta di fidanzatini, dovevano avere circa 10 anni meno di lei. Si tenevano stretti per mano, i corpi vicini, e davano l'idea di essere molto affiatati. Misaki li invidiò. I loro sguardi erano carichi di amore e complicità, come se avessero un segreto tutto loro. Forse avevano da poco fatto "il grande passa", magari giusto qualche ora prima e adesso erano lì per festeggiare. Il loro odore di felicità si poteva distinguere da metri di distanza. La Lanterna si svegliò a quei pensieri, li stessi che aveva provato la futura mamma. Se li immaginò tutti e due nudi e nelle sue mani. Poteva già vedere la disperazione di lei e il terrore negli occhi di lui. Avrebbe potuto giocare con loro. Avrebbe domandato "Chi vuole sacrificarsi per l'altro?" Sarebbe stata una scena senza dubbio epica. Forse lui avrebbe fatto l'uomo, alzando la mano e implorandola di prendere lui al posto dell'amata. In quel caso allora avrebbe torturato lei, e poi avrebbe mangiato le anime di entrambi. Oppure la ragazza avrebbe avuto più attributi e si sarebbe offerta. In quel caso forse avrebbe gustato solo il maschio, lasciando lei libera di andare. Questa scena era nei suoi occhi, nelle sue membra. Si sentiva il sangue ribollire mentre un cupo sorriso le faceva brillare le cicatrici. "Ehm, signora si sente bene? Non ha un bel colorito. Vuole che chiami un'ambulanza?" Una voce gentile. Una voce da adolescente. I due fidanzatini erano ad un passo da lei, i volti preoccupati. Solo in quel momento si accorse che aveva perso conoscenza. Per quanto era durato? Non si era accorta di niente. Si schiarì la gola, cercando di mettere a fuoco il mondo. "Sto bene, sto bene. Vi ringrazio, ragazzi. Sono solo un po' stanca." Disse provando a rimettersi in piedi. Diamine, come era finita per terra? Loki stava bene? Si era fatto male? Si toccò la pancia e avvertì il piccolo che scalciava, infastidito. Tirò un sospiro di sollievo. "Vi ringrazio. Permettetemi di sdebitarmi." Disse con fare autoritario. Avvicinandosi al bancone prese la sua più recente invenzione, quella che aveva chiamato 'il paradiso del cioccolato': una bomba cioccolatosa estremamente cioccolatosa. La porse alla giovane coppia, affermando di volergliela offrire in segno di gratitudine. La sua idea di torturarli era svanita in un angolo della mente. Ma lei era così: bianco e nero che si equivalevano, in eterna lotto tra di loro. I due fidanzatini presero a mangiare il dolce grati del dono. Misaki li guardò a lungo anche dopo che se ne furono andati, tenendosi sempre per mano. "Vi auguro ogni bene." Disse alla stanza ormai vuota.
     
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    "Sono una tartaruga."
    Disse a voce alta, nella stanza vuota. Il soffitto color canarino necessitava di una nuova mano di vernice. E lei necessitava dell'aiuto di qualcuno. Chiunque le sarebbe andato bene. Voleva rimettersi in piedi e non le riusciva. Per questo si era paragonata ad una tartaruga. Anzi ora riusciva a capire che cosa provasse quel povero animale e lo compativa. Loki non era affatto gentile: ogni volta che provava a mettersi di lato per tirarsi su lui iniziava a scalciare furioso, colpendo senza troppe remore le sue costole. E il dolore la faceva rimanere nella stessa posizione. Il che era davvero molto strano visto quanto lei adorasse il dolore! Eppure erano due cose totalmente differenti e in questo caso il suo corpo, invece che ricercare ancora maggiore dolore per raggiungere il piacere, si ritraeva. Avrebbe dovuto chiedere a Thresh che cosa ne pensava della situazione. Lei si era fatta un'idea -ovvero che la sua forma umana le impedisse comunque di provare piaceri da dolori autolesionisti- ma voleva sentire un suo parere tecnico. Ma prima doveva alzarsi. Il massimo che era riuscita a fare era stato sollevarsi sugli avambracci, provando con fatica a vedere oltre il suo enorme pancione. Poi, quando gli addominali dovevano entrare in funzione per l'ultimo sforzo, beh quelli erano scesi in sciopero. O per lo meno era quello che aveva pensato, dal momento che non le rispondevano. Un rivolo di sudore le scorse lungo una tenera gota, simbolo della fatica che stava provando in quel momento. Sbuffò rumorosamente. Poi vide una delle sedie. "Perché non c'ho pensato prima? Sono proprio una tonta!" Esclamò al locale vuoto. Ovviamente era deserto: le sue colleghe erano tutte in pausa pranzo e lei era lì, da sola a fare la tartaruga sul pavimento. Strisciando con i piedi e facendo leva con le gambe, riuscì a raggiungere uno dei trabiccoli di ferro. Per l'enorme sforzo respirava affannosamente. Lo afferrò con una mano e provò a issarsi. Niente. Non ce la faceva. Pesava troppo per un braccio solo. "Mio caro Loki, non vedo l'ora che tu sia fuori di qui, così potrò di nuovo muovermi come voglio. La mamma ti vuole bene, ma se tu l'aiutassi sarebbe certamente un sollievo!" Disse con tono stizzito alla sua pancia. Silenzio. Beh era ovvio. Tentò nuovamente di tirarsi su, usando il braccio destro. E si dette della cretina. Non era solita usare un linguaggio volgare per riferirsi a se stessa, ma questa volta lo fece. Aveva la Lanterna. Aveva il potere, della Lanterna. E lei da brava furba, aveva strisciato sul pavimento perché non ricordava di avere un simile aiuto. Sì, era decisamente cretina. Si tirò una manata sul viso come punizione. In breve la pelle si arrossò e prese a frizzarle così come la sua mano. Evocò due lacci neri e robusti, a cui potersi aggrappare per tirarsi su. Questi si attorcigliarono alle sue braccia e finalmente iniziò a tirarsi su. "Ragazze siete in ritardo, quante volte vi ho detto che bisogna finire la pausa pranzo in anticipo? EH? Mi sono stufata di dire sempre le stesse cose!" Una voce nota. La voce della sua capa. Imprecò tra i denti e riuscì a far svanire i lacci giusto un momento prima che la signora e le commesse varcassero la porta dello "Sweet Honey". Cadde a terra con un tonfo, sbattendo la testa. "Misaki! Cosa ci fai qui? Oggi dovevi scrivere le ricette e ti ho detto benissimo che puoi farlo a casa! E spiegami come mai sei sdraiata sul pavimento. Ragazze datele una mano a tirarsi su!" Eccolo, il piccolo uragano. Due paia di mani delicate la aiutarono a mettersi in piedi e finalmente il mondo tornò al suo posto. Ora non era più una tartaruga. Ma una semplice ragazza con una pancia e il resto del corpo attaccato. Ne era felice. Ringraziò le ragazze con un sorriso. Poi spiegò come mai si trovasse lì e come era finita in terra. Infine fece gli occhioni dolci, cercando di convincerla a non mandarla a casa. Funzionò. "Ma stai attenta a non cadere. Un uomo mi ha detto che non la passerei liscia se dovesse succederti qualcosa mentre lavori!" E detto questo se ne andò, tornando ai propri impegni, lasciando una Misaki curiosa. Forse il suo tenebroso amante era andato a parlare con lei? Era la prima volta che le faceva una carineria del genere e lei non poteva non esserne felice. Continuò a lavorare per tutto il pomeriggio, immaginando a volte Thresh e altre il piccolo Loki. Eppure in cuor suo qualcosa non andava per il verso giusto.
     
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    Sembra proprio una cosa da Thresh in effetti. Che carino poi il piccolo, così giovane e già inizia a torturare le persone. Tutto suo padre. Semplice e conciso, anche simpatico, bel post quindi 100 soldi più che meritati.
     
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  7. †_†yun yun †_†
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    Torno a scrivere dopo secoli. Perdonatemi se qualcosa sembrerà cambiato, devo riprendere mano e ritmo -.-



    Buio.
    Una fitta.
    Accuso il colpo.
    Dolore lancinante.
    Respiro mozzato.
    Un colpo forte.
    Malessere.
    Buio.
    Una luce. Una luce sempre più forte.
    Una voce. Una voce stridula e squillante.
    Buio.
    Sono i miei occhi.
    Li apro. Li chiudo. Luce. Buio.
    Focalizzo qualcosa davanti a me. Uno sguardo preoccupato. Non lo riconosco. Cerco di capire. Qualcosa di morbido mi avvolge.
    Delle mani. Un abbraccio caldo.
    Qualcosa serpeggia sul mio polso.
    Apro gli occhi di scatto, spalancandoli. Mi tirò su e solo ora mi accorgo di essere sdraiata. Persone che non conosco. Visi sconosciuti di fronte a me. Rumore di sirene in sottofondo. Una voce insistente vicino a me. Mi tirò su, facendo forza sulle gambe. Braccia che mi tengono. Le scanso. Devo andare. Devo andare via. Provo a guardare. La mia vista è offuscata. Vedo male. Non capisco. Un odore pungente mi riporta alla realtà: sangue. Lo sento viscoso che mi scorre sul viso, sugli occhi e sulle labbra. Lo tolgo con il dorso della mano. Mi pulisco e ora vedo meglio. Riconosco la strada. Corro. O meglio, ci provo. La pancia è troppo grossa. La pancia è ingombrante. La sorreggo, come se così potessi risolvere la situazione. Mi allontano, infilandomi in un vicolo all'ombra. Cerco di ragionare. Un colpo. Sì, ho ricevuto un colpo alla testa. Cos'era? Un giocattolo forse, non ricordo. Sono svenuta in mezzo alla strada. Devo andare a lavoro. Ma l'odore del sangue mi distrae. Mi ricorda l'odore delle mie prede, dei miei sacrifici, della mia nuova vita. E la Lanterna è attiva. Impreco, in mezzo al caos. Cosa sta succedendo? Loki! Sei tu, amore di mamma? Calmo piccolino, la mamma è qui. Sto bene. Noto un'ombra dalla parte opposta della strada che si sofferma su di me, poi si nasconde tra la folla. Scappo, corro nella direzione opposta. La schiena mi fa male. Non sorregge il peso. Le costole affannano, non riescono a far entrare aria nel polmoni. Mi sento soffocare da me stessa. Vedo il centro commerciale. Forza, Misaki, un ultimo sforzo e sarai al sicuro. Ma da chi? Da cosa? E sarò davvero al sicuro là dentro? Devo farcela, non importa come ma devo farcela. Corro. Corro. Corro. Come se la mia vita dipendesse da questo. La porta. Eccola! La vedo! Sbatto le mani contro il metallo, giro la chiave e sono dentro. Respira. Respira. Respira. Respira. Il cuore mi batte a mille. La Lanterna brilla fulgida sul mio polso, rischiarando l'ambiente. Sono in laboratorio.

    Misaki sbatté le palpebre e in un attimo il suo ricordo scappò via, veloce come era arrivato. Era successo solo due mattine prima, eppure non ci aveva più ripensato. Troppe cose strane erano accadute in breve tempo e lei aveva preferito accantonarle, piuttosto che riviverle. Eppure avrebbe dovuto studiarle, capirle e darsi una spiegazione. Ma non da sola. Si accarezzo la pancia prorompente: "Dove sarà il tuo babbo farfallone? Eh, te me lo sai dire?". Non ottenne risposta, ma quel silenzio era dolce e carico di amore. Era un momento per loro. Stava cucinando. Dopo mesi di suppliche era riuscita a ottenere il permesso per cucinare un dolce di sua nonna materna. Un dolce soffice e semplice. fatto di soli tre ingredienti: uova, philadelphia e cioccolato bianco.
    In quel momento stava preparando la terrina dove lo avrebbe cotto. La unse con un po' di olio di oliva, alzò i bordi con la carta forno, in modo che creassero una paratia di circa 15 cm. Poi prese tre uova e separò i tuorli dalle chiare. Mise i primi in una ciotola e li unì a 125 grammi di formaggio morbido spalmabile. Poi montò le chiare a neve ferma. Mise il cioccolato bianco in microonde e lo fece fondere. Unì le chiare al cioccolato, con movimenti circolari dal basso verso l'alto. Poi unì i due composti. Versò il contenuto nella terrina. Il forno era caldo a 170°. Versò dell'acqua bollente nella teglia del forno e poi vi adagiò la terrina a cuocere. Aspettò quindici minuti, poi abbassò il forno a 160°. Dopo lo spense. Ora doveva riposare quindici minuti nel forno spento ma ancora caldo. Poi lo avrebbe messo a raffreddare in frigo. Per ultimo una bella passata di zucchero a velo e il gioco era fatto. Un dolce semplice, un gustoso sufflè.
    Ma non era soddisfatta. La sua mente aveva bisogno di essere impegnata in altre mille faccende. O sarebbe impazzita, perdendosi nei suoi pensieri...
     
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    Non conosco la storia dietro l'introduzione di questo post, ma devo ammettere che mi ha colpita. Adoro lo stile che hai usato. 100 dindi per Misaki.
     
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