La città dei Corvi

x Hina

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    Quella notte non fu facile prendere sonno, e quando Sae ci riuscì, capì immediatamente che stava vivendo un sogno lucido. Aveva già avuto quel genere di esperienze e riusciva a capire quando si trovava fuori dalla realtà perché non poteva interagire con niente, era come una spettatrice: estremamente vigile ma incapace di fare qualsiasi cosa. Si trovava all'interno della piazza di una città, insolitamente "normale" considerato quello che aveva visto in quei giorni. Nonostante fosse una città moderna, aveva le caratteristiche tipiche di quei paesi di periferia non molto grandi, con alcune costruzioni fatte ancora in pietra, con le strade fatte secondo una tradizione dimenticata, e le cattedrali che sembravano uscite da un libro d'arte. Sae era infatti circondata da persone tutte poste, come lei, di fronte ad una splendida chiesa in stile gotico. La pietra di quella chiesa era nera come il carbone, e tutte le vetrate, tutti i rosoni, tutti i mosaici di vetro avevano lasciato spazio ad un cristallo spento, come se si fosse rigenerato dopo che quel luogo era stato vandalizzato. Le persone intorno a lei erano zitte, ma emanavano un'aura piena di rancore. I loro occhi erano vuoti, le espressioni grigie, sembravano incapaci di assaporare qualsiasi tipo di emozione, se non un risentimento profondo verso quella chiesa. Intorno a quelle persone, il rumoroso gracchiare dei corvi sulle sommità delle statue e dei tetti pareva voler dare loro una voce: incomprensibile ma chiarissima negli intenti. Davanti alla chiesa, un patibolo di legno con numerosi corpi impiccati riempiva il cielo di fumo. Quei corpi appartenevano a uomini, a donne e anche a bambini, pendevano quasi carbonizzati e con il fuoco che usciva dalle orbite degli occhi. Mentre il patibolo bruciava assieme a quei corpi, la chiesa emanava una strana aura. No, forse un canto? Un suono che non poteva essere udito con le orecchie, ma che andava percepito con i sensi. Un suono mai udito prima, impossibile, incomprensibile, eppure lapalissiano come se fosse una cosa naturale da sentire in quelle situazioni. Attraverso il rosone più alto e grande, Sae poteva vedere chiaramente una figura che batteva i pugni sul vetro, ma non riusciva a romperlo. Stava cercando di attirare l'attenzione? Di chi poi? Sbatteva, sbatteva e gridava, ma non emetteva nessun suono, gridava disperato e l'unica cosa che si poteva sentire era quel canto misterioso. Un canto sempre più forte che man mano che prendeva forma, si univa al grido. Sae! Sae! Prese forma: l'espressione disperata di quell'uomo che bussava rivelò il volto di Jakob, che piangeva addolorato mentre invocava il nome di sua moglie. E più la invocava, più il fumo nella chiesa si riempiva, rendendolo scuro come il resto della struttura, fino a che non scomparve. Fu come se quella chiesa fosse crollata facendo sprofondare il mondo intero nell'oblio, e Sae fu sveglia di soprassalto, come se avesse appena fatto una caduta rovinosa. Il suo corpo era tesissimo, tanto che i muscoli le avrebbero fatto male, e avrebbe anche realizzato di essere piuttosto scomoda, perché non si trovava nel suo letto. Era su una sorta di scalinata, nuda, avvolta da drappi rossi che sembravano tende di una galleria strappate e gettate a terra. C'era una strana luce ad illuminare quel luogo, e un silenzio inquietante a svuotarlo. Sapeva di essere già stata lì. e le bastò guardare in fondo alla scala per vedere altri strani e incomprensibili quadri, mentre una figura conosciuta si faceva avanti lentamente.
    Ah, eccoti. Mi chiedevo quando saresti arrivata, Saebina Klein.
    Scorn si fermò davanti al primo scalino, senza fare passi di troppo, limitandosi ad "osservarla" in quel modo incomprensibile e assurdo. La stava seriamente aspettando. In quel luogo, Sae non percepiva nessuno sguardo su di sé, ed era una sensazione piuttosto liberatoria.
     
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    I sogni per Sae erano sempre stressanti per la sua mente perché al risveglio ricordava sempre tutto molto nitidamente, e diventava molto difficile riuscire ad interpretare le figure oniriche che le si presentavano. Il luogo in cui si trovò mentre sognava non riusciva a riconoscerlo, era forse creato dal suo subconscio? Quell'atmosfera tetra e insalubre rappresentava il suo stato d'animo? Si guardava attorno spettatrice di un mondo triste, terrificante. I corpi di quelle povere persone carbonizzate le facevano stringere il cuore e non riusciva a guardare i corpi dei bambini, facendola sentire male. Poi qualcosa di insolito, una canzone dall'interno di una di quelle chiese e poi lo vide. Il suo adorato marito che la chiamava bussando sul vetro di un rosone. Ebbe un tuffo al cuore, voleva raggiungerlo ma non ci riusciva come se una barriera invisibile la tenesse lontana da quel posto. Allungava le mani verso di lui, l'angoscia prese possesso della sua anima e quando lo vide sparire urlò, ma dalla sua gola non uscì alcun suono, facendola sentire impotente. Si svegliò di soprassalto, ma non avrebbe avuto modo di piangere quella visione terrificante poiché notò subito che non si trovava nel suo letto. Quando si tirò su con la schiena si accorse che era nuda e che un drappo le scivolò di dosso, facendola imbarazzare. Si coprì subito con il drappo che aveva addosso, e si guardò attorno confusa, trovandoci Scorn che la attendeva pazientemente. Aggrottò le sopracciglia perplessa: era stato lui a coprirla? Era stato gentile. Modellò la stoffa attorno al proprio corpo, come se fosse stato un asciugamano, infilando lembi di stoffa qui e lì per farlo somigliare ad un vestitino che si reggeva da solo.
    Signor Scorn! Io, come sono arrivata qui? Stavo dormendo nel mio letto. La figura di Scorn era davvero inquietante, ma grazie al cielo Sae aveva imparato a separare mentalmente l'aspetto del suo interlocutore e la sua personalità. Le capitava spesso che dei fantasmi le si presentavano con l'aspetto che avevano quando morivano e spesso erano feriti in modo molto grave, o con aspetti molto grotteschi a seconda di come si sentivano gli spiriti.
    Mi stava aspettando? Chiese smarrita, nella speranza che Scorn potesse in qualche modo darle qualche spiegazione allo strano fenomeno.
     
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    Non precisamente... ma avevo un sospetto.
    Rispose repentino, facendole cenno di seguirlo come se volesse mostrarle qualcosa.
    La maggior parte delle volte non sono io a trovare l'arte ma è l'arte che trova me. Non è un concetto che possiamo condividere, questo, perché ciò che appare sulle tele della mia collezione non ha lo stesso significato che gli esseri umani donano alle loro gallerie. Ma ciò che possiamo comprendere entrambi, invece, è ciò che lega arte ed entità, quindi suppongo che tu possa comprendere ciò che sto per mostrarti.
    La accompagnò senza fretta verso uno dei suoi corridoi, quel posto sembrava una sorta di labirinto metafisico senza soluzione di continuità, dove i quadri e le gallerie cambiavano con la stessa velocità con cui si sbattevano gli occhi. Stavolta però Scorn non la portò davanti ad un volto familiare, né ad un posto che poteva ricordare vagamente. Il quadro ritraeva un deserto rosso, spoglio, amorfo, all'interno della quale non c'era niente, se non un cielo bianco reso torbido da alcune nubi dal colore grigiastro, ma molto molto spento. All'interno di quel paesaggio deserto era raffigurato un punto nero... ma più che un'opera astratta, sembrava piuttosto un punto di vista da lontano. Guardando bene quel punto, infatti, Sae sarebbe riuscita a distinguere delle fattezze umanoidi: troppo distanti per essere riconosciute chiaramente, ma sembrava proprio una persona rannicchiata su sé stessa, in posizione fetale, immersa in una solitudine angosciante. Anche se Sae si avvicinava molto con lo sguardo, aveva sempre la sensazione di guardarlo da lontanissimo.
    Questo quadro è comparso poco dopo il nostro incontro. Non poteva essere una casualità.
    Di nuovo quella frase. Non è un caso. Non è un caso. Sembrava decisamente una sorta di mantra, una vera e propria preghiera, un dogma scolpito nella mente di chiunque iniziasse a circondare Sae. O quel concetto le entrava in testa, o rischiava di farla impazzire. Oltre alla solitudine che ispirava quel dipinto, Sae avrebbe dovuto realizzare che quel posto celava non soltanto opere d'arte appartenenti alla realtà, ma anche ritratti di persone e mostri, rappresentazioni di emozioni e soprattutto, luoghi realmente esistenti come ad esempio il Colosseo o la tour Eiffel. Cosa poteva trovare all'interno di quella galleria?
     
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    Scorn confessò che non la stava proprio aspettando ma che probabilmente l'aveva percepita, trovandola poco dopo. Sae lo seguì serenamente, mentre ascoltava le sue parole che le spiegava che spesso era l'arte a trovare lui e non viceversa. Anche se non lo aveva specificato, Sae intuì che i quadri che vedeva, e che lui diceva rappresentavano qualcosa di diverso dal suo mondo, erano una sorta di "abilità" di Scorn. Un pochino come lei sentiva gli spiriti, lui riusciva a collezionare quei quadri che portavano un messaggio o rappresentavano qualcosa. E a giudicare da come si sentiva Sae quando li guardava sembravano delle emozioni. Quando arrivarono a destinazione, Sae osservò il quadro che Scorn le indicò. Il deserto rosso le sembrò di averlo già visto in una delle use visioni caotiche quando aveva visitato i cadaveri nel palazzo reale. Quando il nobile le disse che quel quadro era apparso dopo che si erano conosciuti, Sae allargò gli occhi sorpresa e guardò Scorn con uno sguardo che sembrava parlare da solo, che le faceva pensare anche a lei che non poteva essere una casualità.
    Pensa che questo dipinto sia collegato a me? Chiese più per spingere Scorna a chiacchierare su ciò che pensava della faccenda. Si avvicinò al dipinto e provò ad avvicinare la mano verso di esso, e se Scorn non l'avesse fermata avrebbe sfiorato appena quella figura lontanissima, nella speranza che le trasmettesse qualcosa, per capire chi era stato rappresentato. Era lei? Perché si sentiva così sola in quella battaglia assurda per il ritrovamento di Jacob? Eppure aveva iniziato a trovare degli amici, degli alleati, Tarabas, Marcus, perfino Thresh anche se lo detestava. Quindi forse quella figura era così lontana perché rappresentava Jacob? Perché soffriva la solitudine?
    Quando li osservo percepisco delle emozioni, questo mi trasmette solitudine.
     
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    Ne sono certo.
    Commentò senza esitazione, portando le mani una sull'altra ed infilandole nelle ampie maniche che formava quel grande "vestito" che indossava. Non provò a fermarla, anche se il quadro sembrava molto fragile: non fatto di una tela come si deve ma più dipinto su qualcosa di meno affidabile. Era uno strato a metà tra la carta e una superficie morbida, difficile da identificare così velocemente, emanava però un leggerissimo calore.
    Gli umani hanno uno strano modo di percepire i sentimenti negativi. La tela è vuota, è vero, ma c'è molto spazio per costruire. Il potenziale è qualcosa di molto, molto importante, anche più importante di cosa c'è già. Un quadro vuoto è un buon segno, di solito quelli dove dentro ci sono molte cose, raccontano delle storie dolorose, senza uscita.
    Si voltò verso di lei di scatto, come se avesse finalmente trovato le parole giuste per comunicarle il concetto.
    Ecco: una tela piena ha esaurito ciò che deve raccontare, è una storia già incisa. Una tela vuota invece, per quanto possa sembrare triste o terrificante, ha molto potenziale ancora.
    Un messaggio insolitamente positivo, anche se Sae poteva coglierne le implicazioni inquietanti. Solo perché c'era ancora molto da raccontare, non significava che fosse positivo. Mentre si perdevano in quei discorsi, Sae vide nello sfondo dei quadri che cambiavano qualcosa di familiare: la piazza, la cattedrale nera, il rogo del patibolo. Era il suo sogno! Rappresentato quasi in maniera perfettamente fedele su un altro quadro. Anche quel dipinto la ispirò immediatamente, anche se qualcosa le diceva di non perdere di vista il quadro che aveva davanti: appena spostò la mano che cercava di toccare la tela, avrebbe avuto la netta sensazione che quella figura nera, lontanissima e quasi irriconoscibile, avesse spostato il capo per volgere lo sguardo verso di lei. Ma fu solo una sensazione, era davvero troppo lontano per provare a scorgere qualcosa, in una maniera quasi frustrante. Perché una rappresentazione del genere era così distante? Non era mica una foto, o un ricordo. Cosa poteva significare?
     
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    Scorn confermò che quel quadro che stava osservando era collegato a lei, e non riuscì a trovare ipotesi contrarie, quindi pensò che avesse ragione. Fu inquietante sentire al tocco che emanava calore, ma ciò non la fermò dal sfiorare molto delicatamente quella tela, per paura di rovinarla. Scorn disse il suo punto di vista, e sembrava quasi che le stesse dicendo che la sua storia era ancora tutta da scrivere. A quella affermazione Sae si sentì confusa, pensava di aver accumulato già varie esperienze, perché quel quadro stava rappresentando la solitudine? Forse era la rappresentazione di come si era sentita dopo la morte di Jacob, e che si sentiva ancora tale? Possibile? Mentre rifletteva adocchiò quasi per caso, o forse non era un caso una tela che rappresentò il suo sogno. Quando lo vide le mancò un battito ma non esitò subito a indicarlo a Scorn.
    Quello! Ho sognato questa scena! C'è tutto ciò che ho sognato, identico... Si avvicinò a quel quadro in ansia cercando di osservare per bene i rosoni delle chiese per scoprire se vi era impresso Jacob che la chiamava. Si voltò verso Scorn in cerca di una guida, probabilmente lui sapeva di quel quadro o poteva dirle se era sempre stato lì.
    Cosa rappresenta? Nel sogno ho sentito dei forti risentimenti, sensazioni oscure e tristi. Nel mio sogno ci ho visto Jacob, mio marito, ormai defunto da anni. Fu in quel momento che si accorse che nel quadro collegato a lei, per un attimo le sembrò che la figura si fosse voltata verso di lei, ma fu solo un istante e pensò che fosse stato un effetto ottico. Cosa diamine significavano quei quadri? Perché aveva sognato uno di essi?
     
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    Quando Sae attirò l'attenzione di Scorn sul nuovo quadro, la creatura si avvicinò lentamente, dando l'idea di essere sorpreso e per certi versi anche confuso. Attese prima di risponderle, e quando lo fece, parlò come se stesse raccontando qualcosa che apparteneva ad un passato lontano.
    Quella è la Cattedrale di Santa Theresa, a Sonnenburg. Nello specifico rappresenta il rogo dove i fedeli dell'Alto Prelato vennero condannati per le loro eresie. Ad impiccarli e bruciarli tutti davanti alla chiesa, fu un emissario divino, un angelo caduto, alla quale i corvi dedicarono molti canti. Da quel giorno, Sonnenburg è nota con questo nome: la città dei Corvi.
    Prima Alagadda, adesso Sonneburg. Qualcosa legava quelle due città in maniera indissolubile. Una il pozzo più profondo del Labirinto, l'altra un ricordo lontano, sbiadito, che sembrava unito a doppio filo alla storia di Carnovash e probabilmente delle Lanterne. Il significato di quella visione stava assumendo sfumature decisamente complesse.
    Saebina Klein, se hai sognato tuo marito in un contesto del genere, la sua anima è irrequieta e sofferente, invoca il tuo aiuto, ma sembra che tu non sia capace di ascoltarlo. Non è forse questo il motivo per cui hai intrapreso questo viaggio? Per caso stai... dubitando?
    Le parole di Scorn suonarono come un'accusa, ma non per farla sentire in colpa, quanto piuttosto per farla riflettere. Finché era stata in compagnia di Mike, finché aveva nutrito il cubo, l'immagine di suo marito era apparsa serena, piena di speranza, addirittura aveva abbracciato Mike come se fosse la sua ancora di salvezza. Dopo che aveva parlato con Tarabas però, quando aveva iniziato a pensare di chiuderla una volta per tutte con quel cubo, di rinnegarlo, di gettarlo via, di darlo in pasto all'oblio, quella visione si era distorta. Che fosse un inganno del cubo per costringerla a continuare? Oppure era il disperato pianto di suo marito che le chiedeva di non lasciarsi abbindolare dalle parole virtuose di un giustiziere, e di ricordarsi che era dell'uomo che amava che si trattava. Poteva davvero abbandonarlo così, pensando unicamente alla vendetta di Tarabas contro Thresh?
     
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    Scorn fu molto istruttivo con le sue risposte. Quel quadro rappresentava un evento terrificante di un lontano passato, ma per qualche stranissimo motivo, forse una intuizione o forse per un curioso collegamento di idee, vide in quella chiesa, in quei corpi bruciati il cubo, le cose che stava facendo e perfino Thresh come uno dei più alti eretici. L'emissario divino lo collegò a Tarabas, a Marcus che non potevano tollerare ciò che consideravano delle eresie. Ovvero ciò che il cubo donava. Per un attimo battè le palpebre più volte pensando che era stata una sciocca a fare un collegamento del genere. Scorn poi le pose una domanda che la fece riflettere un momento su ciò che le era capitato negli ultimi tempi.
    No, io voglio salvare mio marito. Su questo non ho alcun dubbio. Però non posso fare a meno di farmi delle domande, perché ciò che mi capita mi sembra frutto del caos. E' difficile da spiegare. E' come se mi avessero donato un arma per combattere contro un pericolo, ma nel momento in cui provo ad infilzare il nemico, mi accorgo che è di gomma. Mi sento in balia degli eventi, non ho il controllo di nulla, ed ancora meno vedo la via che devo percorrere. Mi sento precipitata nel buio, anzi, forse quel quadro rappresenta bene come mi sento. In un deserto, senza nulla che possa aiutarmi a trovare la via per tornare a casa. Vedo il cielo, vedo la terra ma non ho idea di dove devo andare. Ho paura che non ce la farò, perché non sono abbastanza forte e non ho i mezzi per raggiungere il mio obbiettivo. Non ho più il controllo nemmeno delle mie pulsioni, come posso salvare mio marito se devo prima pensare a salvare me stessa?
    Sae dubitava di se stessa, dubitava di Thresh, ma anche di Tarabas. Entrambi mostravano buone intenzioni, ma entrambi volevano usarla per i loro scopi. Lei non poteva fare altro che giocare per se stessa, in modo assai egoistico, ma che sembrava l'unica via per non soccombere. Doveva sfruttare tutti: Thresh, Tarabas, il cubo. Aveva intenzioni di andare avanti, nella speranza di capirci qualcosa, e se avesse davvero trovato suo marito, allora sarebbe andata fino in fondo, ma se invece tutto fosse stato un inganno, non voleva farsi fregare. Sul momento però tutto le sembrava un inganno perché non riusciva ad afferrare la verità, non riusciva a capire se agiva bene. Se arrivava ad una conclusione plausibile poi scopriva che si era sbagliata del tutto, e ricominciava da capo. Era molto frustrante per lei perché pensava di non aver fatto nessun passo avanti. Thresh le aveva detto che il cubo l'avrebbe aiutata che le avrebbe dato la possibilità, ma non la vedeva, le sembrava che invece tutto le remasse contro. Le dicevano di andare avanti, ma la verità era che non aveva idea della direzione da prendere.
     
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    Scorn fece qualcosa di insolito mentre Sae parlava: sembrò capire. Detto così sembra strano, ma fino a quel momento sembravano quasi due cose diverse che cercavano di comunicare, un pò come quando conversi con un'intelligenza artificiale, oppure quando hai così poco in comune con una persona che le conversazioni sembrano vuote. In quel momento, invece, Scorn sembrò capire esattamente ciò che Sae stava dicendo, e realizzò anche di cosa aveva bisogno in quel preciso momento.
    Capisco. Credo di aver compreso cosa stai cercando di dirmi. Non hai dubbi sulla tua missione, tuttavia dato che gli strumenti che ti sono stati messi a disposizione, hanno le loro motivazioni, allora dubiti che ci sia qualcosa alla fine. Pensi che il rituale sia solo un inganno, e hai paura di essere sfruttata e gettata via. Detto in altri termini: non hai fede.
    Dunque era quella la sottile differenza? Quel piccolo strato tra caos e ordine. La "fede". Ciò che sembrava alimentare con assoluta facilità le persone come Thresh e Tarabas. Sapevano che, alla fine di tutto, avrebbero ottenuto ciò che cercavano, gli bastava andare avanti. Loro avevano "fede". Nel fato, in loro stessi, nell'inevitabilità delle cose, la definizione non importava: loro avevano "fede". E Sae ne era completamente sprovvista, era evidente per Scorn.
    Credevo che ispirare "Fede" negli esseri umani fosse una cosa molto semplice, ma evidentemente non è così per tutti. Saebina Klein, se quello che hai affrontato fino ad ora non ti permette ancora di credere in niente, forse ciò di cui hai bisogno è di credere in te stessa. Se non puoi avere "fede" in chi ti promette il tuo desiderio, allora credi in te.
    A quel punto Scorn allargò le braccia, rivelando le sue mostruose mani fino a quel momento nascoste dentro quelle ampie e strane maniche. Tra di esse c'era il cubo di Sae, ancora nella forma di Clessidra. Pulsava ancora di energia, ma era molto tenue.
    Non desiderare di salvare tuo marito. Desidera il potere di salvarlo. Se la salvezza tua e di quell'uomo sono nelle mani degli altri, sei destinata ad essere una marionetta. Se invece è nelle tue mani, ciò di cui hai bisogno è diventare più forte, finché non sarai più vittima degli eventi. Credere di non avere fede è una scelta sciocca, codarda e poco saggia. Se non puoi avere fede in niente, abbi "Fede" in te.
    Un messaggio decisamente insolito da una creatura del genere, ospitata dal Labirinto stesso. Sembrava un discorso di incoraggiamento ma, in realtà, bastava poco per rendersi conto che Scorn non stava cercando di fare il coach emozionale. Piuttosto la stava illuminando. Stava condividendo con lei il risultato di quella collezione di emozioni, che dipingevano sicuramente un mosaico molto, molto complesso, dove volontà e potenziale si erano incontrati molte volte. Forse Scorn aveva visto di nuovo quelle due cose coincidere con lei, e voleva farle capire che se stava diventando una vittima degli eventi, non poteva incolpare né il cubo, né i suoi aguzzini. Se voleva prendere l'iniziativa, allora doveva farlo fino in fondo. Allungò verso di lei il cubo, come se volesse invitarla a "risolverlo" di nuovo, con la volontà ritrovata che le aveva rivelato. Sempre che il discorso di Scorn avesse senso per lei.
     
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    Inizialmente Sae dubitava che Scorn potesse capire come si sentisse, sottovalutando molto il fatto che potesse invece essere una creatura sensibile, dopotutto per apprezzare l'arte e capirne le emozioni che suscitavano le opere esposte nella sua curiosa galleria, doveva per forza essere ferrato in materia. Difatti quando pronunciò le parole "non hai fede". Sae strabuzzò gli occhi come se avesse detto una cosa del tutto inaspettata, come se avesse pescato una parola assurda dal vocabolario. "Fede" per Sae poteva avere moltissimi significati diversi, ed in effetti pensò che lei di tutta quella faccenda non ci capiva niente perché non ne aveva mai sentito parlare. Scorn però le disse una cosa così ovvia, ma che lei aveva smarrito per tutto quel tempo. Non doveva credere negli altri ma solo in se stessa. Ciò che doveva chiedere al cubo doveva essere una cosa molto semplice e che sul momento le sembrava di aver dato per scontato, fidandosi dei metodi bislacchi di Thresh. Le parole di quella creatura erano così vere, così sagge, al punto che gli occhi di Sae divennero lucidi e poi scoppiò in una risata nervosa.
    Sono la donna più idiota del pianeta. Commentò per poi guardare Scorn con infinita gratitudine. Possibile che bastava parlare con qualcuno che vedeva tutto da fuori il suo contesto per farle capire la cosa più ovvia del mondo? Se non chiedeva qualcosa di più specifico al cubo era ovvio che esso agiva in modo astratto, incasinando tutto quanto. Le tornò in mente il giorno in cui stava per essere stata quasi stuprata dal Mike mostruoso, ed aveva chiesto al cubo il potere di fermarlo, e lui glielo aveva dato. Grazie ad esso era riuscita a sigillare Mike nel suo letto. Ma certo! Doveva fare qualcosa di simile, doveva chiedere al cubo il potere di salvare Jacob, così che poi con le sue forze avrebbe tirato fuori suo marito da quel inferno, lo avrebbe fatto riposare in pace, poi avrebbe preso Mike se lo sposava ed avrebbe alzato un dito medio ai servizi sociali, vivendo serena e felice con Aurora ed il suo piccolo angelo dal cuore puro. Se poi Thresh si sarebbe rivelato un figlio di puttana, avrebbe sfruttato Tarabas per sconfiggerlo. Doveva solo trovare la forza di lottare con le unghie e con i denti, e sfruttare tutto e tutti! Prese il cubo fra le mani lo fissò intensamente.
    Ha ragione signor Scorn, ho perso di vista la mia strada perchè ho dubitato di me stessa. Fece scorrere le dita lungo il cubo, cercando i suoi meccanismi, mentre gli chiedeva con l'anima di darle il potere di poter salvare suo marito.
    Dimostrami che posso farcela! Dammi ciò di cui ho davvero bisogno. Disse rivolgendosi al cubo
     
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    Scorn non disse nulla, le lasciò il cubo in modo che potesse iniziare a risolverlo. Appena lo toccò con la volontà di andare avanti, Sae percepì qualcosa di diverso in quello strumento: era come se stesse rispondendo al suo richiamo, prendendo energia ma restituendola anche. Stava creando un circolo magico di energia, come se volesse comunicare con lei. La stava ascoltando, era ovvio. Mentre risolveva il cubo, Sae vide chiaramente il quadro che Scorn le aveva mostrato, muoversi: la figura nera adesso aveva il volto sollevato verso di lei, e dalla schiena stavano iniziando a fare capolino delle propaggini simili a dei tentacoli. Era molto difficile da distinguere visto che era ancora lontano, ma aveva risposto. Aveva risposto. Il cubo cambiò forma, diventando più contenuto e assumendo le fattezze di un triangolo o per essere precisi quelle di una piramide. In quel preciso istante il mondo intorno a Sae scomparve e si sentì completamente privata del suo corpo, rendendosi conto solo in quel momento che fin dall'inizio era stata nella sua forma astrale, come se stesse sognando ancora. Mentre il luogo in cui si trovava cambiava, sentì chiaramente che qualcosa dentro di lei stava cambiando, diventando più consistente, più chiara. Il suo corpo venne avvolto da un vestito nero particolarmente appariscente e al tempo stesso elegante, con tanto di cappello, collana borchiata e anche trucco sugli occhi e sulla bocca, nero come la pece. Guardandosi riflesse nella piramide, Sae avrebbe notato che i suoi occhi erano diventati di un giallo intenso e luminoso, e sul volto sembrava portare una maschera che, tuttavia, se avesse provato a toccarla sarebbe risultata completamente intangibile, e lei non riusciva a percepirla sul suo volto. Quando la transizione fu completata, di Scorn non c'era più nessuna traccia, né della sua galleria d'arte e di emozioni. Sae si ritrovò al centro di un enorme tavola rotonda, grande quanto un palcoscenico, coperta da una tovaglia rosso sangue e illuminata da un candelabro pieno di candele che non si esaurivano mai, che sembravano fatte di fumo luminoso. Appena arrivò si sentì un brusio misterioso che svanì rapidamente, lasciando l'intera stanza in silenzio. Intorno alla tavola c'erano numerosi commensali: alcuni erano massicci soldati diabolici che sembravano coperti, o fatti, di un'armatura a metà tra la pietra e il guscio di una conchiglia, l'aspetto era vagamente marino, e quel motivo era molto evidente anche dalle pietre cerulee che costituivano l'immensa stanza in cui si trovavano. Altri ospiti erano invece più strani: vestiti vuoti, privi di qualcuno al suo interno, simili a fantasmi, che rivelavano la loro presenza con abiti pomposi, cappelli sgargianti e maschere vistose. Nonostante apparissero invisibili, Sae riusciva a notare i "contorni" dei loro corpi, ed erano leggermente deformati rispetto ad un essere umano normale. Altri invitati erano semplicemente mostruosi e basta. Sembrava proprio averli interrotti nel bel mezzo di un banchetto, visto che intorno a lei la tavola era imbandita, piena di pietanze di ogni tipo, ben decorate, ma della quale provenienza era difficile da comprendere. Cos'era? Pollo? Porco? Manzo? Difficile da capire. La cosa più inquietante però, non erano gli sguardi sorpresi di quelle creature, che pur non avendo "occhi" potevano osservare chiaramente Sae, e farla sentire osservata. La cosa più spaventosa, era la figura davanti a lei, oltre al tavolo, separata da quest'ultimo solo da un elegante tappeto rosso a terra, oltre la quale c'era un enorme trono fatto di quella sostanza a metà tra la pietra e la conchiglia sulla quale sedeva un gigante terrificante. Era umanoide, ma il suo volto non aveva niente di conosciuto, di riconoscibile. L'unica cosa che Sae sapeva era di avere i suoi occhi puntati su di lei, e la fissava come si guarda un topo che è entrato nella propria casa durante una celebrazione importante.
    Una donna in Nero...
    Si avvertì un primo brusio, che venne seguito da altri timorosi, che non osavano allungare il discorso né alzare la voce, timorosi e in attesa che il loro padrone, seduto sul trono sancisse qualcosa. Sae aveva ancora tra le mani il cubo, a forma di piramide, inoltre intorno alla mano sinistra si era avvolto il rosario di denti e ossa che Thresh le aveva donato. Lo sguardo del gigante si posò proprio su quegli oggetti mentre la testa giaceva sul pugno chiuso che gli faceva da cuscino, e con un gesto della mano comandò ai suoi uomini di scagliarsi contro di lei. Se la figura mostruosa rimase immobile, alcuni soldati allontanarono frettolosamente le donne invisibili con la quale si stavano dilettando per lanciarsi verso Sae, scagliando a terra tutte le vivande e chiudere le distanze. Prima che potessero toccarla però, il rosario di denti iniziò a vibrare, generando intorno a lei quella che sembrava una bolla fatta di sangue. L'energia sprigionata da quella bolla terrorizzò i soldati che si spinsero lontani da lei, e anche Sae avrebbe percepito una forza intensa provenire da quella barriera, come se fosse fatta di un materiale unico al mondo, inestimabile e più unico che raro. A quel punto il gigante si alzò in piedi, piantando con rabbia il piede destro a terra e sbattendo i pugni sulla parete che componeva il suo trono, facendo tremare il terreno. Puntò l'indice verso Sae con aria accusatoria, dopodiché lo sollevò quel dito, come a indicare "1" sola cosa.
    Ti concedo una parola. Una soltanto. Cosa vuoi?
    Quel mostro gigantesco, capace di farle tremare l'anima solo con il respiro, le aveva detto di riassumere ogni suo desiderio in una sola parola. Se non voleva farlo infuriare, Sae avrebbe fatto meglio a non argomentare oltre. Sapeva per certo che se non fosse stata nella sua forma spirituale, ma lì presente col suo corpo, di sicuro quel mostro l'avrebbe fatta a pezzi anche solo con la sua pressione energetica. Adesso invece, nonostante percepisse chiaramente quanto quelle creature fossero pericolose, riusciva a resistere, per così dire. Né il gigante, né i commensali sembravano avere una forza spirituale simili a quelle che Sae aveva conosciuto, quindi leggere loro dentro ad una semplice occhiata sarebbe stato impossibile.
     
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    Il cubo reagì, gli ingranaggi si spostarono ed assunse una nuova forma. Sae quasi non ci credeva, quindi era questo il passo successivo? Trovare la fede in se stessi? Quando provò a sollevare il viso per guardare Scorn e festeggiare con lui la riuscita, notò che non c'era più e che l'ambiente attorno a lei era cambiato del tutto. Le sembrò di essere catturata di nuovo da un sogno, in cui tutto attorno a lei cambiò, dove perfino lei assunse un nuovo aspetto. Gli abiti che le si formarono addosso avevano qualcosa di oscuro, abiti che aveva sempre apprezzato ma che non aveva mai osato indossare. Era tutto così bizzarro e capì che non si trovava lì con il suo corpo, era di nuovo in un viaggio astrale e forse era più potente perché stava dormendo. Quando prese coscienza di sé si ritrovò al centro di una immensa tavolata circondata da creature sinistre che non aveva mai visto. Dei massicci soldati mostruosi che ad una prima occhiata poteva scambiare per demoni o dragonici, ma non erano nessuna delle due cose. Spettri invisibili di creature mostruose ed infine, come un pugno nello stomaco vide un gigantesco mostro che troneggiava con la sua presenza su tutti quanti. Sae si voltò verso quella creatura, con gli occhi sbarrati per la sorpresa ed il profondo timore. Non riuscì a capire dove si trovasse e non ebbe nemmeno il tempo di chiedere, poiché quel enorme creatura fece solo un cenno, e quei soldati mostruosi cercarono di attaccarla. Sae reagì di istinto, rannicchiandosi su se stessa urlando spaventata, ma stranamente nessuno di loro le fu addosso e quando riaprì gli occhi, notò che era circondata da una sfera di sangue. Stupita si rese conto che l'energia di quella protezione proveniva dal suo braccio dove vide la collana che le aveva regalato Thresh. Emise un piccolo rantolo fra il sorpreso ed un sospiro di sollievo: quindi era seriamente un regalo importante. Possibile che Thresh avesse previsto che prima o poi sarebbe finita in quel tipo di guaio? Di cosa era fatta quella collana? Fu così grata a quell'oggetto che se la carezzò con amore. Notando che rimanevano tutti lontani da quella sfera protettiva tornò a guardare verso Fortinbras, sperando che funzionasse anche contro di lui. Il gigante però non si scomodò dal suo posto e con un'autorità che faceva paura le concesse una sola parola. Era quella la creatura che avrebbe dato a Sae ciò che le serviva? Avrebbe voluto tanto spiegarsi, ma il timore di indispettirlo fu così grande che deglutì a vuoto e decise di ubbidire.
    Potere! Esclamò solo quella parola, nella speranza che quel regnante gigantesco le concedesse attenzione e le permettesse di parlare. Strinse il cubo al petto, e poi si alzò in piedi, ergendosi coraggiosamente davanti al gigante. Certo poteva sembrare credibile dal suo sguardo fermo e deciso, ma le sue gambe tremavano, e sudava freddo.
     
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    Di fronte a quella dichiarazione, il gigante ruggì rabbioso, fulminandola con lo sguardo. A quel punto sollevò il palmo della mano destra verso di lei, e Sae sentì chiaramente il petto esplodere, come se qualcuno avesse gonfiato aria direttamente nel suo cuore. Il vestito non si strappò però, e semplicemente dalla sua "carne" di spirito uscì una sorta di nucleo magico pulsante. Poi il Gigante mosse il braccio sinistro, aprendo alle sue spalle quelli che sembravano numerosi portali che volgevano in tante direzioni. Ognuna di esse mostrava scenari da incubo, caotici e confusi, dentro la quale sembravano essere custodite armi, cimeli e gabbie con dentro prigionieri, o peggio. Uno di quei cancelli attirò immediatamente l'attenzione di Sae, poiché una mano dorata si ergeva da una pila di quelli che sembravano cadaveri pietrificati, allungando delicatamente le dita verso una lancia rossa che sembrava fatta di sangue. Sentì chiaramente che il potere del talismano che indossava era simile a quella lancia scarlatta, ma il Gigante la richiuse immediatamente, estraendo qualcosa da uno degli altri portali. Sollevò la mano libera e la utilizzò per infilzare il nucleo di Sae. La donna percepì un dolore fortissimo al petto, intenso, che tuttavia si rivelò molto simile alla perdita della verginità: una stilla dolorosa, alla quale seguì un piacere crescente, inebriante, capace di dare assuefazione. Con quel singolo gesto il Gigante le aveva fatto assaporare il suo potere, ed era decisamente meglio di quello di Mike, tanto che per un momento Sae si sentì soddisfatta, appagata, prima di volerne ancora ovviamente. Non ebbe tempo per distrarsi però, visto che il Gigante la lasciò andare, e permise al nucleo di tornare lentamente al suo posto. Durante quel movimento, Sae vide chiaramente una sorta di pugnale rituale conficcato nel suo "cuore" di spirito, che lentamente iniziava a far parte di lei. Quando fu di nuovo nel suo corpo, Sae sentì i capezzoli su cui si trovavano i piercing di Thresh, risuonare con quell'arma cerimoniale, sembrava quasi che stesse diventando una sorta di catalizzatore per quei strumenti magici, ma era decisamente la cosa più piacevole che avesse mai provato in vita sua, seconda solo al sesso con Mike, probabilmente. Si sentiva diversa, ma non ancora del tutto risvegliata. Il Gigante tornò al suo posto, fissandola imperioso. Non aveva ancora finito.
    In cambio mi darai il cuore di una Lanterna. Fa che sia quello della ragazza. Quella che lui chiama "la sua Tempesta".
    A quel punto il Gigante mosse le dita della mano destra come se stesse per dare una schicchera improvvisa a Sae, respingendola a forza da dove era venuta. La donna si sarebbe finalmente risvegliata nel suo letto, molto molto tardi: era quasi ora di pranzo in effetti. Chiaramente il tempo non rallentava nel Labirinto. Il cubo aveva assunto quella nuova forma a piramide e... probabilmente LeMarchand non aveva pensato molto alla mobilità quando lo aveva progettato perché quell'affare era davvero spigoloso da mettere in borsa. Quel gigante... chiunque fosse le aveva fatto un dono, o una specie quantomeno. Una sorta di patto tra di loro? Voleva il cuore di una Lanterna... e forse Sae sarebbe stata più che felice di dargli quello di Thresh, ma lui non voleva l'inquietante omone. Lui cercava la sua "Tempesta". A chi si riferiva?
     
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    Il gigante ruggì rabbioso, facendo stringere nelle spalle la testa. Aveva detto qualcosa di sbagliato? Non ebbe molto tempo per pensarci su poiché il gigante sollevò una mano e Sae sentì subito una fitta nel petto. I suoi occhi si strabuzzarono per lo stupore, consapevole che era quel gigante che stava agendo su di lei. Quindi avrebbe potuto ucciderla facilmente in qualsiasi momento. Per un attimo pensò che per lei era finita, che la sua folle corsa era finita, che doveva dire addio alla sua amatissima Aurora. Invece qualcosa dal suo petto uscì, ammutolendo Sae che non riusciva a capire cosa stava succedendo. Vide dei portali che si aprirono con varie armi e cimeli, e fra quelli vide una lancia rossa che riuscì a riconoscere simile al potere che la stava proteggendo. Il gigante però lo richiuse subito, forse perché aveva notato che stava guardando in quella direzione? Rimase un attimo in apnea aspettando la sua fine. Vide il suo nucleo che venne infilzato procurandole un dolore intenso che la fece urlare. Le sembrava impossibile che stesse provando dolore con il suo corpo astrale ma era ciò che stava succedendo. Sentì di nuovo quella stranissima sensazione che provava quando aveva a che fare con l'energia delle lanterne, quel piacere assurdo che la inebriava e la confondeva, facendola gemere confusa. Non riusciva nemmeno a capire cosa stesse provando esattamente perché era profondamente piacevole ed intenso, al punto che non riusciva più a capire se voleva continuare a provarlo o se era meglio smettere subito prima che potesse svenire. Ma il suo corpo astrale non poteva svenire. Un pugnale si incastonò nel suo nucleo e Sae capì che le stava donando qualcosa di potente ma che non era del tutto formato. Avrebbe voluto chiedere cosa fosse, ma riuscì solo a gemere ancora, crollando in ginocchio su quel tavolino. Si portò una mano sul petto lì dove il nucleo era tornato. Il gigante le ordinò di darle in cambio il cuore di una lanterna, ne chiese una specifica che la confuse come non mai. Di chi stava parlando? Di Thresh? A quale ragazza si riferiva?
    Io... provò a parlare per fare una domanda, ma il gigante la rispedì indietro senza darle il tempo di poter chiedere nulla. Si risvegliò nel suo letto, sudata, i capezzoli turgidissimi e dolenti. Si portò le mani sui seni per premere i due piercing come se potesse fermare quel dolore. Si guardò attorno confusa e si chiese se fosse stato un sogno, era stato troppo vivido. Quando si voltò e vide il cubo nella sua nuova forma, capì che era accaduto davvero.
    Mamma? Dormi ancora? In camera fece capolino la piccola Aurora che salì sul letto per raggiungerla. Notò che sembrava stravolta e la guardò preoccupata.
    Hai fatto brutti sogni? Ti ho sentita urlare. Sae la afferrò e la abbracciò, dandole tanti piccoli baci sulla testa e sul viso.
    Sì, ho sognato un mostro gigante che voleva mangiarmi. Ma tu mi hai salvata. Se la coccolò un poco giocando e scherzando con lei sul letto, così che potesse rasserenarla e farle capire che andava tutto bene. Notò solo in seguito che era tardissimo, ma per sua fortuna era il weekend e non doveva andare a lezione.
     
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    A differenza della sua precedente forma, il cubo-piramide non sembrava inerte in attesa di qualcosa, ma dava l'idea che stesse lavorando. Somigliava ad un piccolo computer, ma ovviamente il paragone era sciocco e riduttivo, semplicemente il circolo di energia era costantemente attivo. Questo da una parte sembrava positivo, visto che non fece mai sentire a Sae quella sensazione di bisogno che andava assolutamente sedata affogandosi nel potere di una Lanterna, ma d'altro canto rendeva quel bisogno più costante. L'aveva abituata, in un certo senso, ma diventava difficile scacciare completamente quel pensiero. Quindi diciamo che poteva trovare il giusto equilibrio, ma era ancora drogata di quell'essenza, ed effettivamente era in astinenza da un pò. Probabilmente se non fosse stato per quel Gigante, si sarebbe svegliata con un bisogno selvaggio in corpo, adesso invece poteva godersi un pochino di serenità in compagnia di sua figlia. Intorno all'ora di pranzo, proprio mentre stava mangiando pacificamente assieme ad Aurora, Sae avrebbe ricevuto un messaggio da parte di Mike: era un messaggio molto strano perché di solito il ragazzo, essendo muto, risultava molto prolifico dal punto di vista testuale. Se si trattava di scrivere non aveva vincoli, e quindi scriveva molto. Quel messaggio invece era composto da una singola linea di testo ed era accompagnato da una foto molto inusuale. Era un selfie, ma molto, molto vicino, troppo vicino per certi versi. Sae poteva vedere solo metà della faccia di Mike e il suo busto. Sopra al anso aveva un cerotto, intorno alla vita si stringeva un braccio e una mano ingessate, e sulla sua spalla destra si poteva vedere chiaramente una mano che lo stringeva in maniera quasi amichevole, ma aveva un che di sbagliato messo assieme alla sua espressione delusa. Il testo diceva soltanto: "ci siamo chiariti".
     
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264 replies since 30/8/2023, 07:33   1134 views
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