Casa di Hancock

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    Quella di Hancock è una tipica dimora in stile giapponese, posta su un unico piano, circondata da una recinzione in legno e con un ampio giardino compreso di laghetto e conifere. A fare ombra alla casa per le estati calde giapponesi vi è un albero secolare alto circa 10 metri e con una folta chioma. Il giardino è un quadrato di 15 metri per 15. La casa è suddivisa in ben 5 stanze, tutte separate dalle classiche porte a scorrimento in tela giapponese e solo il soggiorno presenta una porta a scorrimento in legno. Nel soggiorno vi è presente un tavolino marrone scuro al centro con due cuscini beige al di sotto per far accomodare la donna o anche in casi eccezionali qualche suo ospite. Non ha televisori, ha solo una stufa a legna che usa molto poco, anche d'inverno, poiché la casa isola sufficientemente il calore del sole di giorno, la accende solo quando la giornata è uggiosa. Il soggiorno ha una porta anch'essa a scorrimento in legno che da al giardino. La cucina non è molto grande, vi è al centro un bancone con accanto una piastra utilizzata spesso per arrostire la carne e la parte libera del bancone Hancock la usa solo se deve tagliare, impastare o appoggiare qualcosa sopra. Appoggiato al muro invece si trovano il lavandino ed accanto un fornello e di fianco ad esso un frighetto, dato che la donna non è una gran mangiona o una che conserva a lungo le cose. Soggiorno e cucina sono affiancati e divisi per l'appunto dalla porta in legno, ma per raggiungere le altre stanze bisogna percorrere un corridoio tappezzato dalle tele giapponesi colore tipo sabbia, per poi arrivare alla prima stanza sulla destra che in realtà è una sorta di stanza dove Hancock ha messo su una sua biblioteca personale, con una grande scaffalatura e dei libri e di fronte un cavalletto con una tela solitamente bianca, che lei utilizza quando è ispirata per dipingere un po', è un suo passatempo. Usciti da quella stanza, bisogna percorrere un paio di metri circa per arrivare alla fine della casa, con due stanze una di fronte all'altra. Sulla sinistra c'è la camera da letto, composta da un enorme armadio dove la donna tiene i suoi preziosi vestiti ed un futon leggermente rialzato dove dorme, con un mobiletto accanto alto circa 1 metro e sopra uno specchio, sia il mobiletto che l'armadio sono in legno scuro. Anche nella camera da letto vi è presente una porta, anch'essa in legno a scorrimento che da al giardino. Di fronte alla camera da letto c'è il bagno, un bagno un po' meno all'antica di quelli giapponesi, di antico c'è solo una vasca in legno che riempie di acqua calda solitamente, dal diametro di 2,5 metri e alta 1 metro. Di fronte si trovano il gabinetto ed un lavandino con sopra uno specchio. Sia nella cucina, sia nella stanza dove c'è la biblioteca e sia nel bagno c'è una finestrella, un rettangolo di 60 centimetri per 40. La porta d'ingresso della casa è la porta del soggiorno, perché c'è un vialetto che costeggia il laghetto in mezzo al giardino e che porta ad un portico in legno con le tegole nere sopra di esso che interrompe la recinzione che circonda la casa.
     
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    Entusiasta dell'acquisto fatto, Hancock si precipitò in un giorno di novembre a casa sua, mentre stringeva fra le braccia e anche addosso al seno un libro. Amava leggere, conoscere e sapere cose nuove ed ogni volta che poteva, arricchiva la sua collezione di libri nello scaffale situato nella camera dove di tanto in tanto si dilettava anche a dipingere. Comprò un libro basato sull'occulto, sull'arte magica e la magia nera, non era un libro che rispecchiava la sua indole o che potesse arricchire le sue capacità, tuttavia la curiosità di capire qualcosa in più su quell'universo la spinsero per effettuare tale acquisto. Prima di riporlo nella sua personale biblioteca, decise di volergli dare una letta. Era sera, dopo aver cenato fuori ed essere tornata a casa con l'oggetto comprato, si fece una doccia e quando uscì, rimase con l'accappatoio rosso addosso e nulla sotto di esso. Si mise in camera sua e, prima di addormentarsi, aprì quel libro, iniziando a sfogliarlo e a leggerne qualcosa. Era affascinata dall'ignoto e più girava le pagine, più voleva scoprire cose nuove. Ad un tratto si soffermò sul capitolo relativo alle evocazioni, qualcosa che non sapeva nemmeno lei ma la incuriosì parecchio. Volle approfondire l'argomento, leggendo vari tipi di evocazioni e come effettuarle ed una la intrigò particolarmente. Con una speciale evocazione, poteva richiamare sul luogo scelto per il rito evocativo una creatura che potesse essere servile ed accondiscendente, un genere di personalità che ad Hancock piaceva poiché lei invece era piuttosto dominante ed altezzosa. Lesse tutte le istruzioni su come poter richiamare un simile soggetto e dopo ciò si alzò in piedi e si diresse nella camera dove teneva i libri ed il cavalletto con la tela per dipingere. Prese da lì la tavolozza e la portò in camera da letto. Attinse dalla tavolozza con un pennello del colore rosso e cominciò a disegnare sul pavimento di legno un cerchio di cinquanta centimetri di diametro, dopodiché un cerchio più piccolo al suo interno, di trenta centimetri circa di diametro e nello spazio fra il cerchio grande ed il piccolo, ben tre gocce, come le gocce disegnate nel simbolo dello Yin e Yang. Al centro di quel doppio cerchio, ci disegnò una luna ed un sole uno accanto all'altro e da essi tre linee che si allungavano fino a raggiungere le tre gocce. Quando finì il disegno, Hancock diede un'altra occhiata al libro e poi decise di pronunciare la formula, unendo entrambe le mani.
    "Come il sole si alterna alla luna, anche la purezza si alterna alla corruzione. Corrompi il puro e purifica il corrotto! Io ti evoco!" Esclamò per poi posare violentemente la mano destra al centro del disegno. Quando ciò accadde, le linee di tale disegno si illuminarono e da quel cerchio venne fuori del fumo rosso scuro che annebbiò l'intera camera da letto della donna. Ignara di quale creatura avesse evocato, Hancock rimase in attesa che l'evocazione si rivelasse finalmente davanti ai suoi occhi, mentre si alzava in piedi ed osservava quel misterioso ed inquietante spettacolo manifestarsi a casa sua.
     
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    Mileth

    Era un periodo pieno di lavoro per Mileth, e stranamente (per una della sua razza) la cosa non la faceva molto contenta. Chiunque la conosca o abbia sentito parlare di lei, potrà immaginarne benissimo il motivo. I clienti facevano praticamente la fila per avere l'occasione di passare un po' di tempo con lei. Che in qualche modo la voce della sua presenza avesse cominciato a spargersi? Non era sicura di volerlo sapere. Oltretutto, anche il numero di evocazioni che la convocavano qua e là per il mondo era aumentato, e ovviamente la piccola succube veniva evocata sempre nei momenti peggiori: mentre faceva il bagno, mentre dormiva, mentre faceva delle commissioni, e così via. Quel giorno di novembre, per esempio, fu convocata mentre si stava lavando i denti. Aveva la bocca piena di schiuma del dentifricio quando cominciò ad avvertire quella particolare sensazione di allarme che si faceva viva in lei quando veniva evocata da qualcuno.

    "Eddai, proprio adesso?" borbottò tra sé e sé. In genere i clienti di Mileth non erano dei gran chiacchieroni, perciò lei aveva preso l'abitudine di parlare da sola. In fretta e furia si sciacquò la bocca più volte, prima di assicurarsi allo specchio che fosse tutto a posto. Si siede una veloce sistemata ai capelli, dato che qualche ciuffo andava per i fatti propri, e osservò il proprio vestiario. Era già in "tenuta da lavoro", ottimo. Chiuse quindi gli occhi, in attesa, mentre quella sensazione si faceva sempre più forte, segno che il teletrasporto stava per attivarsi.

    "Speriamo che sia... Beh, una persona decente, diciamo." aggiunse. E in effetti, in un lavoro a scatola chiusa come il suo, erano molte le cose da sperare, e a lei in genere non andava mai molto bene, che si trattasse di ubriaconi, persone violente, o con i kink più disparati. Mentre era ancora presa nell'immaginare come fosse il suo nuovo cliente, il teletrasporto si attivò, e la demonietta scomparve dal proprio appartamento lasciando al suo posto una nuvoletta di fumo rosso.
    Come al solito Mileth non aveva la minima idea di dove fosse finita, ma in qualche modo sapeva di essere molto lontana da casa questa volta. Mentre il fumo si diradava si accorse di stare in piedi su un pavimento di legno su cui era stato disegnato, con della vernice rossa, uno dei sigilli che serviva ad evocarla. Subito, Mileth, si guardò attorno. Dai pochi dettagli che era subito riuscita a vedere attraverso il fumo, aveva intuito di trovarsi in una camera da letto. Femminile, se non andava errata. Che strano, era raro che un'esponente del gentil sesso la convocasse. Che si trattasse di semplice curiosità?

    Continuò a guardarsi attorno finché non la vide, e subito non ebbe dubbi. Era senza dubbio la donna più bella che avesse mai visto. Ogni minuscolo dettaglio del suo corpo gridava alla perfezione, dai capelli neri come la pece e liscissimi, alle forme prorompenti del suo corpo, al suo viso bello e delicato. Una bellezza che fin da subito lasciò sgomenta la piccola Mileth, che ci mise un po' a ricomporsi.
    "Io...Io sono Mileth!" esclamò lei cercando di ostentare una sicurezza che non aveva minimamente.
    "Tu mi hai evocata, e ora sono al tuo servizio!" nonostante l'imbarazzo si esibì in un inchino teatrale.
    "Q-Qual è il tuo nome?" balbettò infine, rialzandosi timidamente.
     
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    Per la prima volta in vita sua Hancock stava assistendo agli effetti di un rituale occulto palesarsi davanti ai suoi occhi e non sapeva nemmeno come comportarsi, sentiva dentro di sé uno stato confusionale, un misto fra stupore ed inquietudine di fronte ad uno spettacolo così stravagante ed insolito. Per alcuni secondi, la luce che illuminava la camera da letto di spense per poi riaccendersi di colpo così che quella coltre di fumo rosso si diradò mostrando ciò che si celava dietro a tutto ciò. Lentamente la sagoma, che la donna poté subito vedere come una figura non molto alta, minuta e con alcune caratteristiche non umane, si rese visibile ai suoi occhi incuriositi. Rimase stupefatta non appena vide quella che era una ragazza, dall'aspetto appartenente ad una qualche razza sovrumana, ma dal portamento tutto sommato grazioso e servile. Si presentò subito, si chiamava Mileth e affermò subito d'essere al servizio di Hancock che rimase leggermente interdetta su quella frase, ma dalla sua bocca non venne fuori alcuna parola, anzi lo stupore la avvolgeva ancora, mentre con movimenti non proprio voluti, ma spontanei, quasi inconsci si avvicinò alla ragazza, continuando ad osservarla nel suo insieme. Alzò le braccia pian piano, volendole toccare le corna che adornavano la sua testa oppure le alette che sbucavano fuori dalla sua schiena. Non sapeva proprio cosa dire, era stregata da quella presenza, fu come se le sue abilità si fossero messe proprio contro lei stessa.
    "Sono... Sono Hancock." Rispose, quasi sussurrando quelle parole, ammirando ancora Mileth e la sua figura non del tutto comune da vedere, almeno per lei. Le mani della donna si posarono su quelle corna, strusciando i palmi per constatarne l'autenticità. Era tutto così strano per Hancock che non riusciva ad esprimersi, aveva l'emozione di aver evocato per la prima volta qualcuno che le bloccava le corde vocali. Ma non poteva restare in silenzio per sempre e ciò se ne stava rendendo conto.
    "Fino ad oggi ero scettica sull'efficacia di un'evocazione magica, ma a quanto pare funziona davvero. Il libro diceva che quando una persona era fortunata, poteva evocare delle splendide creature come gli angeli. Tu non sei un angelo, ma il tuo aspetto si avvicina molto a loro. Cosa... Cosa saresti?" Replicò, porgendo poi una domanda a Mileth, per capire con che tipo di razza avesse a che fare. Dopo che finì di sentire la concretezza delle sue corna, Hancock indietreggiò di qualche passo, come se stesse osservando un'opera d'arte che prendeva vita, poggiando il braccio sinistro sotto il suo prosperoso seno e quindi mettendolo più in evidenza, poggiando la mano sinistra sul braccio destro e portandosi la mano destra sotto al mento, come a voler scrutare la persona che aveva evocato. Fu proprio una piacevole sorpresa per lei ed era convinta che quella ragazza potesse riservargli molte più sorprese di quella di comparire in quella camera dopo un'evocazione mai provata prima.
     
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  5. Joanne!
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    La reazione di quella bellissima donna fu del tutto comprensibile, e di certo non fu una novità. Mileth in tutto ciò si limitò a fissarla di rimando, imbarazzata nell'essere oggetto di così tanta attenzione. In più la bellezza di quella donna era, come dire... Esagerata, sconvolgente. Disse di chiamarsi Hancock, e ciò fece pensare a Mileth di essersi teletrasportata molto, molto lontano da casa. Voleva domandarle dove si trovassero, ma per quello ci sarebbe stato tempo successivamente.
    Mileth voleva risponderle ma venne zittita dal gesto di Hancock, che le prese le corna. Ciò fece sussultare la piccola succube che inerme si limitò a subire tutto ciò con estremo imbarazzo. La stava accarezzando come se fosse un animale. Il fatto che la donna, poi, non trovasse le parole, la faceva sentire ancora più in soggezione.
    "Ehm...Tro...Troppo gentile..." mormorò in risposta al suo complimento. Ovviamente le faceva piacere, ma in qualche modo le faceva anche male, riportandola con la mente a quando era un semplice angelo e la vita era molto più semplice.

    Mileth si schiarì un po' la voce.
    "Non sono un angelo ma una succube. Un... demone minore in poche parole. Compaio al cospetto di chiunque mi evochi per esaudire ogni suo desiderio. Ovviamente, beh, entro quelle che sono le mie facoltà..." specificai, accarezzandomi il braccio sinistro con la mano destra, nervosamente.
    "Se...Se non le piacciono posso anche farle sparire." aggiunse in seguito, indicando le proprie corna.
     
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    Un misto di emozioni che da tempo non provava stavano pervadendo l'animo di Hancock, che guardava con ammirazione Mileth, forse la stava scrutando troppo al punto da metterla a disagio. Ma poteva considerarsi una reazione del tutto normale, perché riuscire ad evocare qualcuno o qualcosa non era un evento che capitava tutti i giorni, specie per persone che non avevano doti o capacità sovrumane. Certo Hancock aveva il potere di incantare chiunque la potesse fissare per alcuni secondi, ma non si poteva considerare un'abilità in grado di stravolgere completamente le vite altrui. Lo stupore crebbe quando scoprì che quella che aveva di fronte era una succube e che poteva esaudire qualsiasi cosa il suo evocatore voleva. Ma la donna non chiese di far sparire le corna alla giovane, una caratteristica peculiare di lei.
    "Non ho assolutamente detto questo, tranquilla. Anzi, sono degli ornamenti bellissimi che puoi mostrare a chiunque!" Rispose, abbozzando un sorriso compiaciuto e che voleva in qualche modo rassicura Mileth sul fatto che non occorreva cambiasse nulla di sé. Si riavvicinò a lei, continuando a guardarla e ad ammirarla come se avesse ottenuto qualcosa di altamente prezioso.
    "Dunque sei una specie di genio della lampada... La cosa mi piace, forse non servirà nemmeno che io usi il mio potere per ottenere da te quello che voglio." Aggiunse, ghignando divertita, ma senza darlo troppo a vedere alla succube, probabilmente non ancora completamente a suo agio in un posto nuovo e con una persona del calibro di Hancock, che sebbene non stava ricorrendo alla sua abilità, una donna così bella comunque poteva mettere a disagio chi si poneva al suo cospetto, donne simili si vedono molto raramente in giro. Però nella sua mente, ritrattò ciò che disse, forse perché voleva capire e provare a vedere se il suo potere potesse funzionare anche su una succube come Mileth. A quel punto, architettando tale esperimento, la donna posò indice e medio della mano sinistra sotto il mento della giovane, alzandole delicatamente il viso, in modo che lo sguardo della persona evocata potesse incrociare il suo.
    "Rilassati, mia cara. Non devi avere paura di nulla con me, d'accordo? Voglio che tu ti senta pienamente a tuo agio." Concluse, sorridendo con un sorriso acceso ed un'espressione più dolce possibile per permettere a Mileth di guardarla negli occhi. Se gli sguardi fossero rimasti per più di un secondo puntati uno verso l'altro, a quel punto Hancock avrebbe attivato il suo potere, cercando di influenzare il più possibile la mente della succube per capire se era possibile anche su di lei oppure no. Del resto, non le costava nulla provare, al massimo se non avesse funzionato, comunque poteva avanzare delle richieste nei suoi riguardo, tanto era per così dire da contratto che l'evocata esaudisse i desideri di chi l'aveva chiamata.
     
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5 replies since 25/2/2018, 12:08   117 views
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