Posts written by Hyperion Arcade

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    Fu strano vederla prendere una simile iniziativa: quella piccoletta era molto più forte di quanto la sua statura lasciasse intendere! Sorpreso, Rengoku non poté fare altro che finire con le spalle al muro, intento a fissarla, sorpreso sì ma non spaventato né colto alla sprovvista. Qualcosa, nel fondo del suo cervello, gli diceva che Gabriel non lo avrebbe lasciato stare così facilmente. Accennò un sorriso enigmatico ma soddisfatto quando gli disse che anche lei considerava la sua Kamen ingestibile, e probabilmente quello era l'accordo migliore che potevano ottenere entrambi. Fino a quel momento il contatto diretto con Gabriel non gli era dispiaciuto e anzi, più si erano avvicinati, più lui era diventato caldo, il suo cuore aveva iniziato ab attere sempre più forte, e quello che prima era uno scontro quasi casto tra i loro corpi venne ben presto contaminato da quella che sembrava proprio una decisa erezione stretta tra i loro ventri, un pò come se stesse accettando quel tacito invito che entrambi erano troppo timidi e inesperti per confessare. Quando però Gabriel gli disse che il suo aggressore non era riuscito a resistere al suo corpo, Rengoku distolse lo sguardo con aria mortificata, masticando parole gelate tra i denti con grande rabbia.
    Io non sono come loro...
    Non avrebbe allungato le mani solo perché lo voleva, o solo perché Gabriel si era già dimostrata disponibile con lui. Ma non per questo avrebbe mancato di cogliere quell'occasione. Sentiva di dover mostrare iniziativa, quindi tornò subito a incrociare il suo sguardo, e alzò lentamente le mani come se avesse voluto afferrarle i fianchi o il seno, per un rapido assaggio. Piuttosto le afferrò le guance, in maniera un pò goffa forse ma tutt'altro che esitante, per poi tirarla a sé per darle finalmente un bacio. Non era esattamente un maestro in quell'arte: le sue labbra risultavano indecise e non tirò fuori la lingua fino a che non Gabriel non avrebbe fatto altrettanto con comunque risultati abbastanza scadenti. Ciò che avrebbe reso il bacio piacevole dunque non era di erto il talento di Rengoku né la sua inesperienza, quanto più il sapore della sua carne: Gabriel avrebbe sentito la natura maledetta e oscura del suo potere, tanto pericolosa per lei che era un angelo, quanto attraente. Un pò come se la sua missione fosse in un certo senso di purificarlo, e nessuno diceva che la cosa non poteva essere fatta in maniera piacevole e perversa. Un retrogusto osceno dunque, e irresistibile, dietro quelle labbra forse inesperte ma decise a dimostrare ciò che voleva, il tutto senza staccare mai i loro corpi, facendole sentire il battito del suo cuore, e le pulsazioni impazienti della sua verga.
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    Non si oppose, né si tirò indietro, e anche quando Gabriel cercò di afferrarlo, pur senza avvicinarsi a lei, non fece nulla per scontrarsi con la sua forza, mantenendosi stabile come una statua di sale rimanendo immobile, come se fosse una statua. Quelle che stava spiegando erano le sue ragioni, per questo non si sarebbe lasciato sciogliere da lei, nemmeno dai suoi sguardi, né tanto meno da quel morbido seno che gli era finito addosso. Non ne era immune, ma in quel momento stavano facendo un discorso serio, difficile distrarsi.
    Quello che succederà dopo essere diventato Akira fa parte di tutta un'altra sfera di problemi, non ho intenzione di pensarci ora. Ma se intendi dire che se mancando un'alleanza adesso, potrei ritrovarmi solo poi allora...
    Sospirò, sciogliendo quell'aria seria ed iniziando a guardarla in maniera molto più calma.
    Allora ti do ragione...
    Abbassò le spalle, diventando più morbido, sembrava quasi che non restasse nulla della statua di marmo che Gabriel aveva tentato invano di spostare fino a quel momento. Rengoku era un tipo difficile, ma non così testardo da non rivedere le sue priorità. Inoltre aveva passato fin troppo tempo da solo per potersi permettere di reiterare la cosa: Sabik, Kaguya, Amerika e adesso anche Gabriel gli stavano dimostrando che avere amici e stimoli continui poteva diventare una bella abitudine, un modo per tenere allenato non solo il fisico ma anche il cervello, e soprattutto lo spirito. Se aveva intenzione di diventare Akira non poteva sottovalutare nessun aspetto di un vero combattente. A quel punto fu lui a farsi avanti, schiacciando ancora di più i loro corpi, e piazzandole sul petto l'indice destro per scandire meglio il concetto.
    Ma mettiamo in chiaro una cosa... siamo amici, e ci aiutiamo a vicenda. Non siamo alleati o membri di un'imbarazzante squadra stile Super Sentai. Finché abbiamo modo di darci una mano a vicenda ben venga, ma indossata la maschera siamo uno contro l'altro. Quello con cui stai stringendo un legame è Rengoku Okido, non la mia Kamen. Ci siamo intesi?
    Queste sarebbero state le sue condizioni, Rengoku non aveva intenzione di fondare un'associazione scolastica segreta, quello che voleva era uno scontro diretto e senza fronzoli con qualsiasi avversario avrebbe battuto il suo stesso sentiero, e tutte le persone che aiutava nel mezzo sarebbero stati ottimo spunto per allenare il suo corpo e il suo concetto di giustizia. Il resto contava poco o niente, o almeno questo si ripeteva per resistere alla morbidezza del seno di Gabriel.
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    Quando Gabriel gli disse di mettersi insieme e unirsi, un profondo silenzio crollò nella stanza, mentre le palpebre di Rengoku si facevano sempre più sottili, in uno sguardo tanto perplesso quanto sorpreso. Aveva decisamente frainteso.
    Uuuuuh... ecco...
    Borbottò immobile, non sapeva esattamente cosa dire, non poteva tirarsi più indietro di così o avrebbe perso qualsiasi credibilità anche di fronte a sé stesso, ma non se la sentiva neanche di andare avanti. Quella era la prima volta che fraintendeva così tanto una ragazza e non c'erano state molte altre occasioni quindi era DAVVERO facile sbagliarsi, non era preparato in tutti i sensi quindi eccolo lì, da cupo e tenebroso a statua di sale in mezzo secondo. Fortunatamente Gabriel non rimase in silenzio e facendogli capire che quello che cercava non era una relazione, ma un'alleanza, il ragazzo crollò col capo all'indietro, infilandosi le mani in tasca cercando di trattenere il suono che stava facendo quel profondo sospiro. Non era esattamente di sollievo, semplicemente aveva ripreso a respirare dopo quel lungo istante di silenzio. Tornò a guardarla dall'alto mentre Gabriel gli offriva quel ghiacciolo con aria lasciva, non aveva di certo dimenticato cosa aveva fatto il giorno prima e non si imbarazzò per così poco, ma tentennava lo stesso con le labbra strette e trasformate in una sottilissima linea nera.
    Darmi cosa? Il tuo aiuto? Non fraintendermi... ma non mi sembra una buona idea.
    Abbassò finalmente il capo e la loro differenza di stazza si fece sentire. Sollevò la mano destra mostrandole l'indice che emanava uno strano calore, come se stesse esercitando in minima parte il suo potere. Lo piazzò sul ghiacciolo di Gabriel e, molto velocemente, lo sciolse mentre abbassava il dito, facendolo gocciolare sulle dita della ragazza.
    Prima di tutto contro cosa dovremmo allearci? Contro i bulli? contro la scuola? Contro il mondo? Questo non è un progetto di gruppo, il nostro unico obbiettivo è diventare Akira,e questo non lo perderò mai di vista.
    Quando il ghiacciolo fu consumato, Rengoku si portò il dito alla bocca per prendersi quelle poche gocce che gli erano rimaste attaccate. Lo sguardo serio gli dava un'aria molto diversa, e anche se non aveva del tutto superato quello strano tentennamento provocato dallo spirito audace della ragazza, questo non gli impedì di far valere la sua posizione.
    Senza contare poi che una volta indossate le nostre Kamen, non riusciremo mai a riconoscerci, men che meno possiamo collaborare deliberatamente, diverrebbe troppo facile scoprire le nostre identità. Sarebbe poco pratico e anzi probabilmente darebbe una grossa mano a chiunque volesse il nostro male.
    A quel punto portò le braccia in posizione conserte: tutto quel discorso era unicamente per non metterla ulteriormente nei guai, quindi almeno da questo lato Gabriel non sarebbe riuscita a scoraggiarlo col suo fare ammiccante da ragazza pronta a crescere.
    Voglio dare il benservito a chi se lo merita, ma non voglio essere né tuo alleato né tuo rivale.
    Fu lapidario, ma non si sentiva in colpa, era stato mortalmente serio quanto sincero, e Gabriel avrebbe potuto intuire che non c'era cattiveria o disprezzo in quelle parole, solo un forte cinismo che difficilmente avrebbe smesso di avere la meglio sulla sua cupa personalità.
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    Elise aveva le idee chiare, e vederla così carica metteva di buon umore il Kaiju: creature come lui erano molto sensibili al modo in cui gli altri esprimevano i loro sentimenti, Berith si scoprì estremamente empatico e la volontà di Elise diede forza anche a lui. Fu per questo estremamente liberatorio non doversi più nascondere davanti alla babysitter e agli altri intorno a loro: quel collare e la situazione di emergenza potevano fare una grande differenza. Non disse nulla però, né agi in modo strano, non stava cercando di nascondersi ma voleva limitare le informazioni su di sé che si potevano intuire. Non era una brutta idea, data la situazione in cui si trovavano. Si lasciò togliere il collare in modo che potessero pulirlo e metterlo ad asciugare, mentre Elise si spogliava e si infilava nel bagno Berith venne distratto da qualche pensiero personale e si soffermò davanti alla stanza della piccola Lorie. Lo aveva sempre visto come una specie di amico immaginario probabilmente, vestito da comico unicorno per non rivelare il suo aspetto mostruoso. Si chiese se fosse il caso di continuare a nascondersi mentre era in casa, per non spaventare la piccola. Doveva preoccuparsene? Sì, gli stava a cuore il modo in cui Lorie lo vedeva, sentiva di far parte di quella famiglia oramai e sarebbe stato addolorato di vedersi allontanare come un mostro dalla bambina. Forse però non le stava dando abbastanza fiducia, magari Lorie lo avrebbe accettato anche se non era un morbido unicorno venuto lì solo per lei. La voce di Elise lo fece rinsavire e, frettolosamente, entrò in bagno senza pensarci troppo, agendo d'istinto. Quando si ritrovò davanti la donna completamente nuda, rimase imbambolato e lasciò che il suo corpo lo tradisse: la coda si incurvò verso l'alto e la carapace intorno al collo si sollevò leggermente. Le propaggini tentacolari oscillarono ai fianchi del suo corpo con movimenti che andavano al ritmo della leggera bioluminescenza degli organi evidenti che aveva sulla corazza, rendendo palese che il suo sguardo era fisso su di lei. Quando era diventato così attratto dal corpo degli umani? Un conto è la pulsione, ma l'attrazione... forse era merito di Elise? Il muso tentennò, quasi vibrando, un suo modo per scuotere il capo.
    Devi essere stanca, dovrei lasciarti riposare. Io non ho fatto altro che origliare e rovistare in giro. Forse dovrei stare sul divano fino a domani, così potrai goderti un buon riposo.
    Lo disse più per sé, che per lei, e non fece molto per nasconderlo. Quella donna aveva la sua missione, la sua famiglia, e per quanto Berith ci tenesse a prendere parte a quel contratto, mai si sarebbe messo ad abusare della fiducia di una persona al limite. Anche perché i loro corpi non erano esattamente compatibili al cento per cento e più volte aveva dimostrato che il corpo di Elise aveva dei limiti. Non era neanche riuscita a vedere sua figlia, forse l'ultima cosa che voleva vedere era lei, e non il volto di un perverso Kaiju.
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    Sovereign aveva una visione completamente distorta del ruolo di Akira, e di chi avrebbe potuto ottenerlo. Questo spiegava anche come mai si comportasse in quel modo, estremo perfino per una scuola che incentivava la rivalità tra i ragazzi. Non lo condivideva, ovviamente, ma iniziava ad inquadrarlo in un certo senso. Se da una parte il loro grande rivale aveva deciso di uscire di scena in maniera teatrale, dall'altra Amerika prese l'iniziativa per lanciargli una dichiarazione di guerra degna di questo nome, tanto che si guadagnò l'attenzione e il silenzio di Rengoku, che ebbe un assaggio dei suoi poteri. Li aveva solo percepiti mentre si univano nella carne, ma adesso poteva vederli ad occhio nudo, rendendosi conto che quella ragazza celava qualcosa di enormemente potente e pericoloso dentro di lei. Proprio come Sovereign, proprio come Rengoku. La Justice Gakuen sceglieva in maniera interessante i suoi concorrenti. La dimostrazione di forza e determinazione di Amerika ispirò Rengoku, che seppur non intenzionato a fare sfoggio dei suoi poteri, fece qualche passo avanti piantandosi le mani sui fianchi, petto infuori e mento alto, non poteva permettersi di essere da meno.
    Le tue teorie su chi sarà il prossimo Akira non mi interessano... quel ruolo spetta a me. Ma se hai intenzione di darmi il tempo di collezionare pietre prima di prendermi sul serio, allora ne approfitterò per assicurarmi di rispedirti nel buco da cui provieni, e non farti più uscire per il prossimo millennio.
    Solo a quel punto sollevò il braccio destro puntandogli l'indice contro e scurendo in maniera aggressiva lo sguardo. Voleva mostrargli il suo istinto omicida, l'assenza di pietà, quella forza assassina che spesso guidava le sue decisioni. Rengoku esercitava la sua personale giustizia attraverso l'uso della violenza più estrema, e anche se si era ripromesso di non usare abilità vistose, il suo corpo si ricoprì di fiammelle nere molto sottili, simili a ciuffi d'erba che ondeggiavano al ritmo dei suoi battiti cardiaci, sempre più forti e determinati. Quelle fiamme erano una silenziosa firma a quella dichiarazione di guerra, e proprio come gli occhi di Rengoku, anche quei vachi buchi bianchi che fissavano Sovereign avrebbero lanciato verso di lui tutta la voglia di farlo a pezzi che animava quel corpo martoriato. La Kamen si era fatta un paio di nemici potenti, poco ma sicuro. Solo quando il nemico si sarebbe fatto da parte, Rengoku si sarebbe calmato, voltandosi verso Amerika con uno sguardo insolitamente calmo, e per certi versi anche sconfitto.
    Ti senti bene?
    Nonostante tutto, era ancora preoccupato per lei.
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    Forse non aveva tutti i torti, forse sarebbe successo comunque visto l'ambiente che avevano deciso di frequentare, ma non poteva scacciare dalla sua mente l'idea che per colpa sua la cosa si fosse accelerata e non di poco. Fu tentato di portare l'altra mano su quella di Gabriel, un pò come a voler accettare quella magra consolazione da parte sua, ma non era ancora così sicuro di sé nei confronti di quella ragazza. Si preparò a replicare ma appena aprì la bocca si ritrovò il ghiacciolo di Gabriel in bocca, ennesima cosa che gli fece sgranare gli occhi, cogliendolo del tutto impreparato. Dopo un sobbalzo improvviso, superò immediatamente il freddo improvviso sentendo il sapore dolce del gelato, mescolato a quello delle labbra di Gabriel, zittendolo completamente e facendogli fare un'espressione da pesce lesso rara da vedere sulla sua faccia. Se avesse saputo che poi Gabriel lo avrebbe rimesso in bocca, probabilmente avrebbe evitato di leccarlo in quel modo, che per quanto lento manifestava chiaramente l'intenzione di volerselo gustare. Se non altro la ragazza aveva guadagnato tutta la sua attenzione, raffreddandolo in tutti i sensi mentre lo invitava a riflettere sulle sue azioni. Aveva ragione: oltre che cercare un potenziale buco nell'acqua, si stava mostrando debole e vulnerabile, isolandosi non faceva altro che rendere a Sovereign le cose più semplici, così come ai suoi maledetti sgherri. Si leccò lentamente le labbra con un movimento inconscio nel vedere Gabriel che si riprendeva il ghiacciolo, finendo poi con lo scuotere il capo per riprendere un attimo la linea di pensiero. Giusto in tempo per afferrarle le mani e impedirle di spogliarsi davanti a lui, bloccandola sul nascere con un tono frettoloso anche se non esattamente convinto.
    Mi fido, mi fido! Non c'è bisogno che ti spogli... ho capito.
    Sospirò, lasciandola andare a malincuore, per poi prendere un profondo respiro e ritrovare la sua proverbiale calma. Dopo i complimenti che gli aveva fatto non aveva smesso di guardarla negli occhi, anche solo di sfuggita: quella ragazza era davvero spontanea, pura di cuore, e non mentiva mai se aveva qualcosa che le passava per la testa, dicendo unicamente quella che considerava la verità.
    Ma non significa che mi fermerò. Cercherò con maggiore calma informazioni e scoprirò chi ti ha fatto questo. Dopotutto è una dichiarazione di guerra... e io sono pronto a combattere.
    Rengoku sapeva quello che voleva, e non avrebbe esitato a farsi avanti. L'unica cosa per cui non sembrava disposto a combattere erano le fantastiche forme di Gabriel... ma non perché non le volesse, anzi il loro precedente incontro aveva testimoniato il contrario. Semmai il problema è che la vedeva ancora come la ragazza che era stata abusata fisicamente, e non voleva di certo contribuire al trauma. Forse eccessivamente, ma era semplicemente rispettoso nei suoi confronti.
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    Quando Gabriel aprì la porta, si ritrovò davanti l'inquietante mano di Rengoku che stava quasi per afferrare anche lei per poterla interrogare. Appena però il ragazzo riconobbe la spada e il volto amico, sgranò subito gli occhi per la sorpresa, fermandosi di colpo e abbassando subito la mano, rimanendo a fissarla non per intimorirla ma piuttosto per la sorpresa. Seguì un imbarazzante silenzio dove non riuscì a dire nulla, forse per l'imbarazzo, forse per i sensi di colpa, era difficile capirlo senza un rossore chiaro sul volto, ma questo diede il tempo agli ultimi ragazzi nello spogliatoio di scappare, lasciandoli così da soli. Come al solito, Rengoku non portava la divisa ma solo una vecchia maglia bianca, un cappotto nero aperto da abbinare ai pantaloni altrettanto bucherellati, e un paio di anfibi quasi completamente aperti e slacciati man mano che risalivano le caviglie, diventando più simili a delle coppe sfondate che delle scarpe.
    Scusa, non volevo ferirti. Ho solo pensato che volessi stare un pò da sola.
    Fece qualche passo indietro, non aveva dimenticato le loro ultime esperienze e dopo ciò che aveva passato la povera Gabriel, non era sua intenzione sfoggiare degli imbarazzanti istinti adolescenziali. Mantenne un rispettoso distacco prima di darle le spalle e poi cercare in giro tra gli armadietti rimasti aperti se c'era qualche informazione, ma si rese conto che essendo presente la diretta interessata, non aveva molto senso fare qualsiasi cosa che non fosse direttamente chiedere a lei.
    Non mi è andato giù quello che ho sentito. Non è niente di nuovo tra queste mura, ma se gli altri fanno i prepotenti allora anche io posso imporre il mio punto di vista con la forza, no? Non me ne starò in disparte.
    Non si voltò verso di lei, dando un pugno su un armadietto chiuso e piegandolo quasi in due mentre le dava le spalle. Rimase col braccio destro appoggiato sull'armadietto, sospirando per cercare di calmarsi. Rengoku aveva un fortissimo senso della giustizia, le sue esperienze lo avevano reso violento e cinico, ma restava comunque votato al bene, e pensare che per colpa sua Gabriel si era messa nei guai era insopportabile.
    Forse lo faccio solo perché mi sento in colpa? Tsk... magari non sono migliore di loro...
    Una risatina amara scivolò dalla sua bocca come una dannatissima maledizione. La persona con cui era più arrabbiata in quel momento era sé stesso.
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    In una situazione diversa avrebbe lodato Juri per la capacità di scegliere quando prepararsi un infuso calmante in situazioni di agitazione, ringraziandola di aver trovato una soluzione diversa alla violenza gratuita, ma in quel momento era certo che una sola parola di troppo, come anche un fiato, sarebbe costato molto tanto al loro ospite, quanto alla sua protetta. In quel momento Shagaru non stava rimanendo professionale solo per quel confuso barbone, ma anche per lei, per questo l'unico sfogo che si concedeva erano ampi movimenti della punta della sua coda, che si sforzava di non muovere come una frusta. Anche la sua, di pazienza, aveva un limite. Quando la ragazza portò ad entrambi il caffè, Shagaru notò che c'era qualcosa di strano nella sua espressione: vide quella fiamma pericolosa che più volte aveva avuto il dispiacere di provare direttamente sulla sua pelle, e dal modo in cui il barbone sgranò gli occhi sembrava proprio che non fosse un caso. Il drago portò una delle sue grosse zampe sopra alle dita di Juri per ringraziarla del caffè, ma mentre mormorava quel "grazie" si rendeva conto che non sarebbe bastato così poco per calmarla, a meno che non ci fosse riuscita da sola. Il lungo sospiro che seguì l'invito cordiale aiutò il drago a tranquillizzarsi, annuendole col capo per farle capire che aveva agito bene. Il barbone aveva invece abbassato il capo, timoroso che potesse farsi riconoscere da qualcuno evidentemente, afferrando la tazza di caffè e portandosela alla bocca più per celare la sua faccia che non bere. Speranzoso che Juri fosse davvero riuscita a trattenersi, Shagaru tornò con lo sguardo verso il loro ospite, pronto a riprendere il discorso, ma ancora una volta la ragazza pur mantenendo una calma apparente decise di farsi avanti, facendo sfuggire al Magala un denso fumo di disappunto dalle narici. Le dita del loro ospite si sporcarono di caffè per colpa del tremolio crescente delle sue dita, e anche se bruciava non lasciò la tazza neanche per sbaglio, ustionandosi le dita piuttosto che fare qualsiasi movimento. Aveva riconosciuto l'occhio di Juri, e anche Shagaru non era indifferente a quella manifestazione.
    Juri... mantieni la calma, ti prego.
    Dopotutto lo stava facendo soprattutto per lei, non poteva permetterle di sabotarsi da sola. Ma forse quel modo di fare, quel ruggente potere minaccioso, aveva giocato a loro favore, perché il loro ospite aveva ripreso a parlare nonostante lo sguardo fosse perso nello specchio scuro del caffè nella tazza, o quel che ne restava.
    Sono sempre stato superstizioso... avevo paura dei fantasmi. Lo sapevo che saresti tornata perché avevi gli occhi di uno spirito vendicativo... e ce li hai ancora...
    Non ti faremo del male, ma ti prego di stare calmo. Dobbiamo sapere cosa sai.
    Shagaru venne interrotto quando il loro ospite saltò sulla sedia, alzandosi di colpo, piantando le mani sulla scrivania e rivolgendosi con gli occhi gonfi, lucidi e accesi di orrore e terrore rivolti verso Juri.
    Lui è tornato dalla morte! Ha fatto credere a tutti di essere cambiato, ma non lo era! Anzi... è peggiorato. E tu lo sai! Lo hai visto... hai visto cosa fa alle persone. Lo hai provato sulla tua pelle! Per questo sono scappato! E' troppo! Troppo anche per me! E adesso chissà cosa sta confabulando...
    Crollò gradualmente in ginocchio, la voce si fece più stretta, lo sguardo assente. Si portò le mani sulla testa, stringendole così forte da sbiancarsi la pelle delle dita.
    Se mi trova... sono finito. Non vorrà che io racconti tutto quello che so... sono come le sue vittime ora... tormentato fino alla morte... è la fine... è la fine!
    Juri aveva evidentemente acceso qualcosa in lui, la consapevolezza che forse, anche se non lo uccideva il suo "x padrone", probabilmente lo avrebbe fatto lei per estorcergli informazioni. La paura lo aveva posseduto nella più profonda delle sue forme, e Juri poteva riconoscerla perché probabilmente l'aveva assaporata anche lei.
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    Ogni tentativo di Sovereign per provare a metterli all'angolo, umiliarli e scoraggiarli non aveva sortito nessun effetto, ma tutto cambiò quando decise di portare la "sfida" su un altro livello. Fino a quel momento, Rengoku lo aveva considerato solo come un prepotente che un grande potere che voleva imporre le sue regole su tutti gli altri studenti, ma sentirlo parlare come se stesse cercando "qualcosa" fece cambiare gradualmente il punto di vista di Rengoku. Poi, in maniera del tutto inaspettata, sfoggiò una pietra dal misterioso potere che portò il ragazzo a sgranare gli occhi verso la Kamen, mentre istintivamente stringeva la mano di Amerika come in cerca di conforto. Non sapeva cosa stava guardando, non di preciso almeno, ma l'istinto gli suggerì che non poteva più permettersi di sottovalutare la situazione. Lo stesso era successo ad Amerika che, non solo smise di rimanere immobile, ma espresse perfino il suo timore. E non poteva biasimarla: nessuna delle sibilanti provocazioni di Sovereign, né i movimenti inquietanti movimenti del suo capo, avevano sortito l'effetto che quella pietra aveva instillato in loro, mostrata solo per un istante, segno che era davvero qualcosa di prezioso. Quando smise di osservarla, Rengoku rinsavì, come se un pensiero gli fosse balenato in testa.
    Allora è vero... il "nucleo" della scuola perde pezzi, ed è possibile ottenerne il potere. Questo è ciò che stai cercando, non è vero? Altri pezzi di quella forza! Rispondimi, di che si tratta? Lo so che lo sai!
    Rengoku si stava appellando unicamente alle voci che aveva sentito, nulla di più, ma il semplice perdersi nell'energia pericolosa di quel frammento era bastato a convincerlo in qualche modo. Era difficile per lui interpretare i suoi stessi sentimenti: non sapeva se temere quel potere e cercare di starne alla larga, oppure se restarne affascinato e cedere davvero alla sfida di Sovereign. Certo, la tentazione di sbattere in faccia uno di quei frammenti al suo avversario per fargli abbassare la cresta era forte ma... non aveva idea neanche di come arrivarci a una cosa del genere! Fino a un istante prima, avrebbe dato per scontato che non erano neanche reali, una mera diceria.
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    Dissimulò, e non poco, quando vedendo quel ghignetto quasi perverso Gin sentì un brivido risalirgli tutta la schiena portandolo ad irrigidirsi, o meglio bloccarsi così da non dare a vedere quanto in realtà Gabriel lo avesse colto alla sprovvista. Perché doveva rendere strano ogni discorso? Era un problema generazionale? Quel gelo improvviso fu l'unica ragione per cui Gin si lasciò abbracciare frettolosamente, e non la rimproverò per avergli usato tanta confidenza, quanto fisica che verbale. Sospirò senza ricambiare il suo abbraccio ma dandole piuttosto una sobria pacca sulla testa, senza esagerare, lasciandola andare senza aggiungere nulla. Ulteriori minacce sarebbero state fuori luogo e concederle un tono più accondiscendente rischiava di buttare giù una barriera gelida che era meglio mantenere alta. Inutile tormentarla ulteriormente, quella ragazza ne aveva viste anche troppe negli ultimi giorni. Anche chi mira a diventare il prossimo Akira ha bisogno di un momento di respiro. Dato che aveva passato la notte ad allenarsi, Gabriel di sicuro avrebbe cercato conforto nel riposo della sua stanza, per una volta che saltava le lezioni non sarebbe stato grave, specialmente se Gin la copriva. La cosa ovviamente non passò inosservata e tra le orecchie curiose riguardo alla misteriosa assenza, c'erano anche quelle di Rengoku. Il ragazzo sapeva molto bene cosa significava entrare in contatto con lui tra le mura della Justice Gakuen, quindi il suo primo pensiero fu che probabilmente aveva avuto pessimi incontri dopo che si erano salutati. Un mix di sensi di colpa e rabbia si impossessò del ragazzo che iniziava ad essere oltremodo stufo di quei comportamenti ingiusti, e seppur ingiustificata della rabbia finì anche verso Gin dato che quel professore si sforzava sempre di essere indifferente. Forse una persona matura avrebbe agito in maniera completamente diversa, andando a bussare alla porta della diretta interessata chiedendole semplicemente cosa le era successo, e se stava bene. Ma Nonostante il suo spirito calmo e distaccato, Rengoku era pur sempre un ragazzo giovane, impulsivo, che si lascia trascinare fin troppo facilmente dalle emozioni quando non sa come gestirle. Quindi prima di ogni altra cosa avrebbe indagato su quello che era successo, cercando di ricostruire i fasti, interrogando chiunque destasse i suoi sospetti, facendo sentire gli altri a disagio e in pericolo. Si sparse rapidamente la voce che Rengoku era a caccia di colpevoli e tutti avevano una grande paura perché sapevano che quel tipo era stato in detenzione proprio per la sua violenza. Quel ragazzo non aveva una buona nomea e il suo aspetto non l'aiutavano. Stava cercando un colpevole e c'erano buone possibilità che si avventasse sulla persona sbagliata. In quel momento si stava aggirando tra gli spogliatoi delle palestre nell'ala ovest, quella più piccola e meno frequentata, dove aveva già messo in fuga gli studenti più impreparati. Chi l'avrebbe fermato?
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    Quando toglieva quello spirito ribelle e scanzonato, Gabriel sapeva essere una buona allieva, concentrata, determinata, forte. Quando la guardava mentre accettava la sua stessa determinazione, Gin non vedeva una testa calda né tanto meno una ribelle come tanti altri, vedeva una giovane donna pronta a crescere, a spiccare il volo, decisa a lasciare il nido anche se non aveva ancora imparato a librarsi da sola. Quando la vide evocare la spada tra le mani, piangendosi addosso, il professore realizzò quanto in realtà quell'esuberanza e la strafottenza non fossero altro che una maschera per la sua insicurezza. Ciò che aveva perduto non era lo stato un semplice furto, le avevano strappato qualcosa in maniera tanto violenta da lasciarle una cicatrice indelebile, difficile da curare, e ancor più difficile da accettare. Gin chiuse le palpebre, serrando le labbra mentre sceglieva con cautela le sue prossime parole. Si asciugò il capo con un panno bianco, poi fece qualche passo verso di lei afferrando con forza la spada che stringeva tra le mani, come se volesse strappargliela via. Uno strattone veloce ma poco deciso, poco più che una minaccia, per costringerla a serrare quell'arma tra le mani per impedire che il professore gliela portasse via. Una volta che Gabriel avrebbe stretto quell'arma tra le mani, Gin l'avrebbe lasciata andare, solo per farle notare quanto forte sarebbe stata al sua presa su quell'unica, importantissima cosa che aveva valore per lei, sulla quale poteva affidarsi sempre, e che non aveva esitato ad evocare quando ne aveva sentito bisogno. La fissò dritta negli occhi, assicurandosi di avere tutta la sua attenzione.
    Pensi troppo a quello che non hai. concentrati invece su ciò che hai: quello che ti manca non è indispensabile, e quello che vuoi prenditelo.
    Sottolineò quell'ultima parola con grande decisione, per farle capire che non doveva lasciare al caso o al destino la presa di una strada che invece apparteneva a lei, e che solo lei poteva prendersi. Per diventare forte, per trovare le sue "parti mancanti" aveva tempo, e la volontà per ottenerlo. Ma non doveva demonizzare quel poco che aveva come se fosse inutile, o liquidarlo come banalmente "incompleto". Non c'era nulla di incompleto né in quella ragazza né nella sua spada, e Gin glielo avrebbe fatto capire. Portò le braccia in posizione conserte, assumendo un'aria più seria e severa.
    Ora vai a riposarti. Finite le lezioni ci alleneremo ancora. Non ho finito con te.
    Con i suoi occhi taglienti, Gin le avrebbe fatto capire che se i suoi pensieri la tormentavano così tanto, allora avrebbe fatto in modo che non sarebbe più stata in grado di sentirli.
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    La sibilante risatina divertita che scivolò dalle fauci del Kaiju quando Elise parlò di sua figlia e delle sue coccole fu un buon modo per stemperare quella tensione che si era creata un attimo prima, pregna di discorsi pericoloso e importanti. Anche Berith aveva preso a cuore quella piccola famiglia, e proprio per questo non voleva più limitarsi ad essere semplicemente un osservatore: se dovevano lottare assieme, lo avrebbero fatto fino in fondo, specialmente ora che la situazione stava diventando estremamente più complessa e pericolosa.
    Lei si prenderà cura di me, proprio come io mi occuperò di te. E tu ti prenderai cura di lei. E' un buon modo per convivere, questo.
    Quel mostro non ragionava come gli esseri umani, per lui la forza, la resistenza e la capacità distruttiva erano su un altro piano. Una bestia colossale non ha più valore di una pianta che con i suoi preziosi frutti sfama le prede che serviranno poi al cacciatore per continuare il ciclo. Per lui, Elise e sua figlia non erano più insignificanti di nessun altro, men che meno di lui. Annuì quando Elise iniziò a spiegargli il suo piano, e adesso che aveva il collare intorno alla gola sentiva di non doversi più nascondere, rimanendo dietro i sedili mantenendo lo sguardo sulla strada.
    Torniamo a casa allora, la notte è stata lunga, approfittiamo della situazione per riposare ed elaborare un piano. La cosa migliore sarà toglierle il suo migliore alleato, ovvero il sostegno del pubblico di New Vegas e i suoi spettacoli gladiatori.
    Potevano sicuramente fare di meglio, ma una volta realizzato che senza il sostegno di Jack Il Bello, Poppezinga sarebbe stata all'angolo, il loro piano avrebbe preso forma. Di sicuro uno come Jack Atlas non voleva che una pessima pubblicità come quella registrata sul video di Elise finisse sugli schermi degli spettatori paganti. Ma prima di giocare le loro carte, dovevano tornare a casa. Probabilmente avrebbero trovato Lorie che dormiva della grossa, e entrambi avrebbero avuto bisogno di un bagno visto che non tornavano a casa da quasi due giorni, senza contare che quel collare aveva bisogno di una bella pulita. Berith si sentiva anche come se avessero in qualche modo rinnovato il loro "contratto" con quel semplice gesto, e si sentiva molto più unito ad Elise di quanto non fossero mai stati. Non di rado, mentre tornavano a casa, la fissava con fare misterioso agli occhi di un essere umano, perché da conto suo si interrogava di quanto fosse diventato affezionato ad una figura del genere.
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    Elise aveva trovato quello che cercava, e mentre si allontanava, sia il piccolo criminale che i suoi sgherri la fissarono perplessi. Assurda situazione quella per loro: fare scambi con gli sbirri e con le autorità era sempre un'operazione delicata che richiedeva una certa concentrazione e creava sempre grande tensione, Elise invece se l'era cavata con niente, anzi sembrava quasi che avesse fatto visita ad un amico di vecchia data e si fossero accontentati di uno scambio tra fratelli. Niente pistole, niente minacce, niente frasi fatte tanto per sembrare grossi o sicuri di sé. Quei criminali la fissavano increduli, ancora storditi dalle capacità della donna e dalla facilità con cui quella situazione si era risolta. Perfino Berith rimase sorpreso ma non per gli stessi motivi: aveva conosciuto Elise al culmine della sua disperazione, e salvo sporadiche situazioni in cui si erano goduti un momento di calma ed intimità, non l'aveva mai vista davvero felice o piena di speranza. Adesso invece, nonostante l'assurda situazione provocata dall'arrivo dell'Authority, sembrava davvero raggiante. Forse c'era davvero speranza per loro. Si fece trovare fuori dalla macchina, non finse di essere rimasto dentro, Berith non era una creatura che mentiva per qualche tornaconto personale e non aveva paura ad ammettere quando semplicemente faceva di testa sua.
    Sembra che abbiamo trovato ciò che stavamo cercando.
    Commentò con una punta di soddisfazione, per partecipare alla vittoria di Elise. Avrebbe atteso che la donna tornasse in macchina per seguirla, e prima di ripartire le avrebbe mostrato la sua di refurtiva, sollevandola con le grosse propaggini che portava sulla schiena.
    Ho trovato che potrebbe tornarci utile.
    Le mostrò un grosso collare di ferro che aveva trovato in mezzo alle cose accatastate di quei piccoli criminali. Era uno di quelli tutt'altro che usati per l'estatica, massiccio e pesante, spesso, borchiato ai lati e attraversato da cavi elettrici all'interno. Non funzionava, era evidente, ma dava l'idea di essere uno di quei collari utilizzati per tenere sotto controllo belve di grosse dimensioni. Anche se Berith tornava alle sue dimensioni originali, il collare si sarebbe semplicemente aperto e non rotto, quindi potevano riutilizzarlo facilmente.
    La situazione a New Vegas è cambiata, la città è molto più pericolosa. Ho sentito dai tuoi colleghi che gli agenti sono autorizzati a portare con sé degli animali addestrati anche molto pericolosi se tenuti al guinzaglio. Se ti chiedono cosa sei venuta a fare da queste parti, per evitare di confessare cos'hai trovato, puoi dire che stavi trovando un mastino per protezione personale, e dimostrare che è sotto il tuo controllo con questo collare. E io potrò smettere di nascondermi, non sarà più necessario lasciarmi in macchina. Se la situazione si fa pericolosa, voglio stare al tuo fianco.
    Non stava chiedendo il permesso, stava esponendo la sua idea: era molto serio, quasi solenne mentre lo diceva. Per lui non era umiliante né strano, avevano stretto un accordo e voleva soddisfare la sua parte nel miglior modo possibile, e poi era stufo di doversi nascondere, non c'era motivo di farlo visto quanti a New Vegas sfoggiavano robot guardiani o draghi che facevano da guardi del corpo. Lui non sarebbe stato diverso. Il collare che stava offrendo ad Elise era un ulteriore dimostrazione della sua fiducia nei confronti della donna. Certo forse non funzionava davvero per dargli reali scariche elettriche, ma il fatto che stesse chiedendo a lei di metterglielo era un gesto di fiducia che Elise non doveva sottovalutare.
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    Elise sapeva perfettamente come trattare con quei piccoli criminali, dire che aveva la situazione sotto controllo sarebbe stato poco: quella risatina di scherno mentre l'uomo prendeva la sua parte di accordo riportò quei piccoli criminali all'asilo lasciandoli di stucco. Ebbero la sensazione di essere dei dilettanti mentre invece, la poliziotta, sembrava quasi aver fatto quel genere di scambio almeno un migliaio di volte. Li ammutolì e non ebbe problemi a toccare il suo interlocutore per poi convincerlo a fare come diceva lei. Berith rimase impressionato dalla capacità persuasiva della sua partner, era come una predatrice esperta ma senza zanne né organi atti alla produzione di energia distruttiva. Un risultato impressionante che, in un certo senso, stuzzicò molta attrazione in lui. Il criminale non disse nulla, si limitò ad annuire per poi mostrarle una stanza al chiuso di quel piccolo rifugio, ennesimo luogo in cui Berith riuscì ad intrufolarsi passando dal tetto, essendo particolarmente ampio come luogo e privo di muri che facevano da sigilli tra le stanze. Il luogo che raggiunsero si poteva definire la perfetta unione tra un piccolo ufficio e una discarica, solo che nonostante l'aspetto poco ordinato, nelle buste e nei fusti di metallo c'era roba utile come armi e schedari, non immondizia. Diciamo però che non era un gran posto dove invitare una signora. In mezzo al caos c'erano diversi computer, lui scelse quello che sembrava funzionare meglio e tirò finalmente fuori la refurtiva dalla tasca. Elise notò subito che quell'affare era troppo grande per essere una pennetta: somigliava più ad uno di quei datatissimi walkman per dischi, con con diverse spine e attacchi in più. Una sorta di... convertitore? Era strano immaginare di cosa si trattasse, sembrava a tutti gli effetti un'invenzione improvvisata, fatta con diversi pezzi e scarti, messi assieme per fare qualcosa di prodigioso. Sulle spine esposte c'erano dei resti metallici come fili di rame sciolti, ma non sembrava qualcosa di "fresco", per intenderci. Dove aveva trovato un simile affare? Grazie al suo potere, Elise ottenne molte più risposte del previsto appena l'uomo agganciò lo strumento al computer per riprodurre il video.
    L'ho rubato a un ex guardia di sicurezza che lavorava con dei pezzi grossi a New Vegas. Non so di cosa si occupasse ma mi aveva assicurato che qui dentro c'erano parecchi filmini compromettenti per ricattare qualche riccone. Purtroppo i file sono perlopiù danneggiati, ma quello che interessa a te si è conservato in piccola parte...
    La fortuna aveva aiutato Elise: era come se quello stesso dispositivo si fosse fritto da solo appena era uscito dalle mani del suo vero proprietario, ma lo aveva fatto abbastanza male ma da salvare qualche file. La riproduzione andò avanti per qualche minuto solo con qualche file corrotto, dopodiché finalmente partirono alcuni preziosi secondi di ciò che interessava a lei. Berith, pur non avendo una visuale perfetta, cercò di concentrarsi per osservare quello che poteva: la distruzione lasciata da quella Kaiju era impressionante, e anche se l'audio era vagamente distorto, si potevano sentire le grida disperate delle persone che fuggivano. Periodicamente le immagini distorte si stabilizzavano, e l'immagine della creatura che con soddisfazione portava avanti la distruzione, diventavano nitide. Non c'erano dubbi: quella sarebbe stata l'arma vincente di Elise.
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    Per Berith, i sospetti di Elise non avevano senso: un Kaiju come lui non aveva nessun problema ad esplorare la zona contaminata, anche i luoghi meno accessibili, e di laboratori simili ne aveva visti un sacco. Per lui non era affatto strano, ma una persona normale poteva invece considerarli pezzi di un importante puzzle. Era molto più preoccupante vedere che aveva raccolto delle prove importanti per usarle come merce di scambio: il Kaiju non aveva lo stesso senso di giustizia degli umani, sapeva perfettamente che quello era un piccolo prezzo da pagare per ottenere finalmente giustizia dato che in fondo Elise stava scagionando solo un piccolo criminale per eliminarne uno molto più grosso. La sua preoccupazione però era rivolta alle conseguenze di quell'azione: cosa sarebbe successo se qualcuno avesse scoperto cosa aveva fatto Elise per arrivare fino a quel punto? Cercò di non pensarci, concentrandosi sulla sua missione: era lì anche per quello. Poteva proteggerla lui, anche dai scenari più drammatici. La poliziotta si fece avanti rispetto al criminale con l'ampio cappotto, e lui fece altrettanto: petto in fuori, aria sicura, giocava in casa e gli piaceva sentirsi in vantaggio. Quando Elise gli chiese dei file, lui sollevò l'artiglio meccanico facendole cenno di no, sia col "dito" di ferro che riuscì ad imitare, sia con la testa che si scosse facendo schioccare le labbra con aria ironica.
    Prima tu, e spero per te che ci siano le buste con i sigilli della polizia per farmi capire che sono tutte le prove senza eccezioni, oppure questi file li userò per ravvivare il fuoco della cena.
    Quel tipo si era già conquistato le antipatie di Berith che, dall'alto della sua posizione nascosta e rialzata, stava osservando la scena senza lasciarsi sfuggire nessun verso di disappunto. Trattare con simili scarafaggi era molto difficile, voleva costringere Elise ad esporsi in modo che se la poliziotta non fosse stata soddisfatta del loro scambio, lui avrebbe comunque potuto tenerla in pugno. Berith era pronto ad intervenire in caso le cose si fossero fatte troppo pericolose, ma volle restare in disparte, fiducioso che Elise avrebbe utilizzato le sue doti per mantenere il controllo.
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