Sanssouci

appartamento di Adam Qadmon.

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  1. Kira dietro lo specchio.
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    Che dice il Coccodrillo del Nilo | che batte la coda iridata | ... | nel tonfano, nella cascata, | ... | e sopra la sponda assolata? | «Trovato è il pasto agognato! | Trovato! Trovato!

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    Ovviamente da dietro lo specchio! Il tuo specchio...

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    Era trascorso poco meno di un mese da quando era ritornato da Londra e, finalmente, aveva iniziato a trovare quella stabilità emotiva che prima l'incontro con Hilda in un senso e poi quello con Queenie in un'altro, avevano tanto alterato: certo, spesso la sensazione di sporcizia, di viltà che la vampira gli aveva lasciato addosso l'aggrediva nei momenti più impensati, soprattutto quelli in cui si scopriva in attesa di una chiamata da parte di Domino, di un segno che la sua esistenza potesse davvero essere d'aiuto a qualcuno ma, incredibilmente, riusciva a tenerla sotto controllo, a strapparsela di dosso e a ritrovare la pace che aveva turbato. Certo, era lontanissimo dall'aver deciso cosa fare con la sua tremenda ma affascinante aguzzina ma, in qualche modo, era riuscito a trovare un modo per convivere con il suo ricordo e benché questo non lo aiutasse a sentirsi meno codardo, era comunque un miglioramento rispetto alla depressione strisciante dei primi tempi.
    Allo stesso modo, l'idea che stesse per diventare padre e che avesse una relazione per così dire "aperta" con quella dolce, bella apetta ancora lo sgomentava ma, grazie alla distanza mitigata da un costante contatto telefonico, aveva iniziato ad accettarla benché comunque la cosa lo preoccupasse moltissimo e, per certi versi, ancora non riusciva a crederci. Insomma, che razza di padre sarebbe potuto essere se non sapeva neanche cosa fare della sua vita, incapace com'era di affrontare i suoi demoni? Senza contare che, sebbene lo fosse da un punto di vista genetico, non aveva idea di cosa volesse dire davvero essere una tiranide, quasi tutto quello che riguardava la sua specie gli era ignoto e non aveva idea di come avrebbe dovuto considerare i suoi innumerevoli figli: le creaturine che sarebbero uscite fuori dalle uova lo avrebbero riconosciuto come loro padre? Sarebbe riuscito a stabilire con loro un rapporto amorevole, sano? Ma, soprattutto, sarebbe riuscito a volergli bene? Ricacciava costantemente questo pensiero nell'oblio ma non faceva altro che nascondersi da stesso, dalle sue paure poiché era perfettamente consapevole di temere proprio questo: vedere quelle piccole tiranidi e non riconoscerle come una parte di sé, non riuscire a provare quel sussulto del cuore, quel fremito dell'animo che, come immaginava, dovrebbe cogliere ogni genitore nel vedere per la prima volta i propri figli. Dopotutto, se non fosse stato per gli incontri che aveva fatto in quei pochi mesi, mai avrebbe potuto immaginare di riuscire a provare affetto, ammirazione per qualcuno, tanto chiuso, indifferente agli altri credeva di essere... certo, Veronica, Domino, Queenie stessa e molti altri avevano dimostrato il contrario ma con quanti di essi aveva provato a stabilire un legame duraturo? Soltanto con Queenie e con non pochi problemi! Si sentiva davvero come un bambino che, ancora incerto sulla bicicletta senza rotelle, prova a mettersi in sella a una moto rombante: bellissima, certo, ma anche spaventevole e pericolosa, poiché sarebbe stato semplicissimo finirvi fuori strada.
    Come detto, però, aveva imparato a controllare (sia pure maldestramente) le sue paure e in quegli ultimi giorni aveva ritrovato una routine forse un po' solitaria ma decisamente confortevole: aveva trascorso buona parte della giornata a fare da insegnante privato per alcuni bambini del suo stesso condominio, un piccolo lavoretto che aveva iniziato per arrotondare e trascorso la serata a leggere sorseggiando un buon bicchiere di vino rosso, per poi andare a letto non troppo tardi, non prima di aver inviato un messaggio della buonanotte proprio alla dolce Queenie: si sentiva un po' a disagio, talvolta, a proseguire quell'interrotto scambio di messaggi spesso decisamente dolci, non tanto perché gli dispiacesse ma perché temeva di apparire un adolescente infatuato e, ça va sans dire, non trovava tale somiglianza minimamente lusinghiera; sapeva, però, che a Queenie faceva piacere e vi si dedicava comunque, anche perché non voleva che la piccina potesse, sia pure in qualche momento, pensare che lui potesse sfruttare la loro lontananza per, pian piano, sfilarsi dai suoi doveri e sparire: trovò un po' strano che la piccina non gli avesse più risposto dal pomeriggio ma credette che, stanca del lavoro e della gravidanza insieme, si fosse assopita dimentica di contattarlo. Trovò questa immagine molto tenera e se la cullò per qualche minuto prima di addormentarsi con un lieve sorriso che gli curvava le labbra.
    Fu risvegliato di colpo da dei rumori intensi che, per un attimo, nella confusione del sonno interrotto non riuscì a comprendere prima di identificarli come qualcuno che stesse prendendo a calci la porta di casa sua. Guardò con sorpresa la sveglia e notò che era notte fonda, sorpreso da una visita così inaspettata e, soprattutto, così villana dato che lo sconosciuto visitatore avrebbe potuto utilizzare il campanello, almeno non avrebbe rischiato di svegliare i suoi vicini. Si alzò di tutta fretta e, non avendo tempo per rivestirsi, andò alla porta così com'era, cioè con una maglietta aderente blu scuro e i pantaloni del pigiama sempre del medesimo colore.
    Arrivo, arrivo! Smettetela di prendere la porta a calci! - si brontolò a voce alta per sovrastare il fragore di quel "bussare" così maleducato, con il volto ancora un po' assonato, gli occhi un po' rossi e i capelli spettinati. - Insomma, un po' di buone maniere! Ma dico, lo sa che ore son- Queenie?! - esclamò stupefatto aprendo al porta, incontrando lo sguardo della sua dolce Regina tenuta in braccio da una donna sconosciuta. Lo sguardo stupefatto di Adam vagò confuso dapprima sulla figura decisamente scarmigliata e provata di Queenie, quasi interamente coperta da un cappotto stranamente maschile per poi andare su quella elegante e imponente, malgrado la grazie femminile che esprimeva, della sconosciuta: sebbene, infatti, Adam potesse vantare una statura di ben due metri d'altezza, alla donna mancava appena una decina di centimetri per raggiungerlo e la cosa lo colpì non meno di vederla agghindata per una serata di gala, cosa che stonava assolutamente con le condizioni di Queenie. Non fece nemmeno in tempo a riaversi dal suo sgomento che, appena oltre le spalle della sconosciuta vide le ancelle della sua Regina, decisamente serie e di cattivo umore... che portava ognuna un grosso uovo dorato. Dire che Adam rischiò un mancamento non sarebbe esagerato dato che, per evitare di barcollare all'indietro, dovette reggersi allo stipite della porta mentre strabuzzava gli occhi. - M-ma cos'è a-accaduto... - balbettò in un sussurrò appena udibile, mentre il suo povero cervello, sovraccaricato da quegli eventi assurdi, produceva un'unica ipotesi possibile: Queenie voleva fargli una sorpresa soltanto che, mentre veniva da lui, le si erano rotte le acque e aveva partorito di notte, da sola, al freddo, sicuramente aiutata da quella giovane donna che, di certo, era appena uscita da una serata a teatro o in qualche villa della Roma bene. Le immagini di lei che sola, impaurita e infreddolita partoriva al buio lo fecero destare e si spostò di lato, permettendo alle due donne e all'alveare di Queenie di entrare in casa. - Ma entrate, entrate! - disse, nervoso, chiudendo la porta quando l'ultima delle ancelle fu entrata.
    Queenie! Come stai, piccola? Cos'è accaduto, sta bene? Stanno bene le uova? Devo chiamare un'ambulanza? - chiese rispettivamente a Queenie, alla sconosciuta e alle ancelle, spostando freneticamente su ognuna di loro mentre si avvicinava alla donna porgendole le braccia, affinché potesse prendere tra le sue la sua piccola, dolce Regina e stringerla dolcemente a sé, facendole sentire il suo calore, la sua presenza. Era preoccupatissimo, confuso e decisamente fuori di sé... e purtroppo, non era che l'inizio.
     
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