Un certo momento infinito

x Amaterasu

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  1. Onepunchkill
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    Era un regime di vita che lasciava poco spazio ai desideri personali quello della Horizon; tutti gli insegnamenti erano condotti con il rigore e la severità che avrebbero potuto trovarsi in un esercito e per questo i pochi momenti di libertà venivano accettati con graditudine.
    O alomeno, cosi era per Tatsuko.
    Appena uscita da una sessione di allenamento particolarmente violenta, la ragazza si godeva i suoi momenti di pausa in una delle tante palestre della scuola, una che in quel momento era inutilizzata e deserta a parte lei.
    Se ne stava con la schiena e la nuca appoggiate contro la parete. Un piccolo taglio le percorreva il braccio destro e da esso usciva un sottile filo di sangue che scendeva fino a terra. Le labbra leggermente dischiuse, vagava con lo sguardo nel vuoto, oscillando tra il sonno e la veglia.
    Il freddo della parete e del pavimento, il lieve pulsare della ferita, la testa leggera e il tempo che passava come in un sogno.
    Ascoltava silenziosamente ognuna di quelle sensazioni, persa in un mondo tutto suo, senza pensare a niente. Vegetava, ascoltando il battere dei secondi e rincorrendo, su un filo troppo poco sottile per essere chiamato pensiero consapevole, vecchi ricordi e immagini presenti.
    Tutt'attorno, in ordine disordinato, una dozzina di studenti giaceva sul pavimento in pose scomposte. Tumefazioni, facce gonfie, arti in posizioni innaturali, sembrava un campo di battaglia.
    Tatsuko aveva sentito un paio di volte la parola "stupro", ma non ne aveva mai conosciuto il significato fino a quel giorno. I primi che si erano fatti avanti non le erano dispiaciuti, erano carini, e cosi li aveva lasciati fare, la cosa non le era dispiaciuta più di tanto, ma poi ne era venuto uno brutto, loro avevano insistito, fatto qualche smorfia minacciosa e cosi era andata a finire in quel modo.
    Qualcuno di quei ragazzi non era male, le pareva anche di averci parlato qualche volta: quasi le dispiaceva... solo un pochino.

    Edited by Onepunchkill - 31/7/2014, 13:10
     
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    Picchiettava nervosamente il tagliacarte d'argento sulla scrivania di vetro, tenendo le gambe accavallate e la schiena piegata in avanti. Le braccia le sostenevano a stento la testa e cercava ad ogni modo di non pensare a quanto tempo stava aspettando lì dentro. La comunicazione era stata chiara e a giudicare dai suoi assistenti Karter aveva ottenuto l'invito, accettandolo oltretutto, non c'erano errori. Eppure quel ragazzo sembrava non essere più uscito dalla palestra dall'inizio degli allenamenti, quando l'invito della Preside lo sollecitava a raggiungerla il prima possibile subito dopo la sessione di combattimento. La stava facendo aspettare, e ad Arashi non piace aspettare.
    E' giunto il momento di disdire l'appuntamento, Principessa...
    Una figura alle sue spalle, immersa nell'ombra, alzò gli occhi come se fino a quel momento fosse stata inchinata ad aspettare una sola parola di Arashi. E solamente quando interpellata in quel modo, prese parola.
    Maestra, ne è sicura? E' uno dei più promettenti...
    Arashi rimase alcuni istanti a far oscillare il tagliacarte tra le dita, rimanendo quasi ipnotizzata dalle figure che creava il riflesso nel vetro, lasciandolo però cadere a mezz'aria incrinando in maniera quasi impercettibile la lastra lucida sotto di lei.
    Non trovo utilità in un potere che non posso controllare.
    Gli occhi brillanti si richiusero, con fare solenne, tornando nell'ombra.
    Come desidera Maestra... vuole che invii una comunicazione?
    Il pavimento gridò, stridendo a causa della sedia che si allontanava rapidamente dalla scrivania, indice che Arashi si era alzata in maniera fin troppo rapida. La strega della tempesta rimase leggermente inclinata in avanti anche da in piedi, tenendo i palmi delle mani larghi sulla superficie lucida della scrivania. Sospirò flebilmente, per poi aprire gli occhi e ammiccare un sorriso di soddisfazione.
    No... ci andrò personalmente.
    Per i corridoi della scuola non dimenticava mai di sfoggiare il suo lussuoso vestito d'argento, per quanto fosse sfarzosa la pelliccia che lo avvolgeva e succinto il taglio che metteva in mostra ogni singola parte delle sue forme, non aveva motivo di vergognarsi oppure non condividere con gli altri la sua bellezza. Avanzava con fare elegante lasciando ticchettare le sue lunghe scarpe sul pavimento, attirando l'attenzione di chi non la vedeva spesso... e anche di chi la vedeva spesso. Arashi aveva deciso di punire il rifiuto di Karter con un intervento diretto, e il passo rapido verso la palestra avvicinava il momento tanto pregustato senza inutili perdite di tempo. Spalancò le porte da sola, richiudendole immediatamente dopo per inerzia, presentandosi imponente come al solito e con sguardo severo, mentre osservava attentamente la scena che l'unica persona rimasta in piedi le aveva imbastito.
    Una schiera di persone massacrate, e non con gentilezza, visibilmente tramortire da una forza che li aveva sopraffatti. Tra i molti, anche Karter: nessuna sorpresa che non si fosse presentato in ufficio, non avrebbe mai potuto farlo... non con le sue gambe per lo meno. Questo non provocò dispiacere ad Arashi e non le diede nemmeno motivo per punirlo... dato che aveva già trovato un perfetto sostituto. Ritrovò il sorriso, fermandosi a pochi metri dalla ragazza ferita, cercando il suo sguardo ma senza la minima intenzione di supplicarla per ottenerlo.

    Credo tu abbia bisogno di visitare l'infermeria...
    Unico commento, seguito dall'elegante e affusolata mano della strega che si allungava verso di lei, decisa ad aiutarla.
     
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    Nel godimento del miscuglio di sensazioni ed emozioni, Tatsuko provava anche qualcos'altro, lontano dall'essere piacevole: un vuoto freddo, che la attorniava come una cappa, sfiorandola spiacevolmente, e le pareva le scorresse dentro come sangue inondandola di silenziosa tristezza.
    Solitudine.
    Tatsuko si sentiva sola.
    Nonostante sorridesse, nonostante tutta la sua allegria, nascosto in fondo, provava una gran solitudine. Nonostante tutto, non era riuscita a sentirsi a casa in quella scuola, tutti i sorrisi che le facevano, tutti i ragazzi e ragazze che la riempivano d'attenzioni... niente di tutto quello le sembrava reale, non le donava nessun calore, nessuna felicità. Lei viveva alla giornata, nel semplice movimento di corpo e mente ogni pensiero triste non esisteva pe rlei, ma in quei momenti, quando si fermava a riflettere nel silenzio, riemergevano tutti assieme e più che mai in quel momento, dopo aver visto le reali facceche quei ragazzi nascondevano sotto le loro maschere.
    Non le piaceva. Non era divertente. Non le piaceva.
    Ebbe nostalgia della sua vecchia casa, di suo padre e della sua famiglia, della sua vecchia vita passata a correre tra le macerie, sotto il sole cocente. Pensò ad Eloy, ed anche la sua immagine la riempì di tristezza.
    "Voglio tornare a casa" piagnucolò, tirandosi le ginocchia contro il petto. Ci nascose il volto contro, rifugiandosi nel buio. Forse cosi poteva farlo sparire, quel mondo che non le piaceva.
    Il filo dei suoi pensieri venne interrotto dal rumore della porta che si apriva.
    Ancora chiusa nel suo piccolo spicchio di Purgatorio, Tatsuko sentì dei passi avvicinarsi.
    Uno studente? Un insegnante?
    Sollevò lo sguardo. Una donna in bianco, dal portamento e l'orgoglio negli occhi la guardava sorridendo.
    Credo tu abbia bisogno di visitare l'infermeria... la sentì dire.
    Guardò, quasi stupita, la mano che le veniva porta, poi guardò di nuovo la donna.
    Per il scarso interesse per la vita scolastica, non sapeva chi fosse, non sapeva i lsuo nome, cosa facesse in quel posto o perchè ci fosse venuta, ma anche cosi, la amò profondamente, per essere lì, di fronte a lei, a tenderle la mano, a farla uscire dall'oscurità.
    Sorrise, felice. "Si" disse, prendendo quella mano e facendosi aiutare a rimettersi in piedi.
    Solo in quel momento si rese conto del massacro che le circondava. Nelle città non era una bella cosa menare a cosi tanta gente. Era decisamente una situaizone imbarazzante.
    "Ehm, io..." cominciò, strusciando un piede per terra e con lo sguardo basso. Ancora scossa dall'impeto delle emozioni, non sapeva cosa dire per giustificarsi. "Sono stata io" disse alla fine, allo stesso modo colpevole e mortificato di una bambina colta con le dita nella marmellata.
     
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    Il sorriso di Arashi si allargò ampiamente quando la ragazza davanti a lei confessò le proprie colpe, pertanto non esitò un solo istante a risponderle subito dopo aver toccato la sua mano. Lo fece con tono comprensivo e materno, un tepore caldo le uscì dalle labbra, quasi come un canto rassicurante.
    E non vergognartene mai... non nasconderlo mai: questa è l'affermazione di cosa sei veramente. Se gli altri non ti accetteranno, almeno tu accetta te stessa...
    A quel punto nessun'altra parola le avrebbe dato motivo di portarla via con sé, trascinandola in infermeria dove avrebbe ricevuto le cure migliori della scuola: quelle della preside in persona. Cose che la medicina non poteva semplicemente emulare, non con costrutti appositi per lo meno, non senza l'ausilio stesso dell'essenza magica che la strega della Tempesta racchiudeva tra le dita. Lì, una volta sistemata Tatsuko sul lettino, avrebbe iniziato a tirare fuori dalla sua decorazione intorno alle spalle dei filamenti incantati rossi, non molto lontani da del semplice laccio colorato, ma pregno di una magia intensa. Li utilizzò come dei punti di sutura, e laddove la carne non andava rimarginata i nastri semplicemente mitigavano il dolore, e riportavano la bellezza e la pace sul corpo della ragazza. Arashi li comandava semplicemente muovendo le dita, come una direttrice di orchestra: non tirò tende o chiuse le finestre, aveva già chiuso la porta in modo che nessuno potesse interrompere il loro incontro.
    Qual'è il tuo nome?
    Ovviamente poteva scoprirlo da sé, o conoscerlo già, il fatto era che non si erano ancora presentate e sperava che con una tale domanda Tatsuko le avrebbe anche spiegato chi fosse, perché era lì ma soprattutto cosa desiderava...
     
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  5. Onepunchkill
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    Pensava che sarebbe stata punita, che quella donna l'avrebbe rimproverata, si sarebbe infuriata, magari anche che le avrebbe urlato contro.
    Era abituata a simili reazioni. Perlopiù provenivano da persone le cui parole non le interessavano; sorrideva, annuiva e quello era il suo riceverle. Altre volte invece capitava che a dirlo fossero altri, che rispettava, a cui voleva bene o per cui, per un motivo o per l'altro, sentiva un'empatia particolare. Allora si sentiva mortificata e accettava tutto con silenziosa tristezza.
    Se quella donna avesse reagito in quel modo, la sua reazione sarebbe stata la seconda. Era pronta anche a pulire la palestra e a steccare tutti quei ragazzi, se quella fosse stata la sua punizione.
    E invece non era successo: la donna in bianco, cosi solo poteva chiamarla, le aveva parlato con un tono rassicurante e gentile, che l'aveva conquistata subito; aveva detto parole che le risuonarono dentro con forza, perchè esprimevano un principio in cui credeva fermamente, più di ogni altra cosa, ma che le era rimasto dentro, pensiero inespresso. Ed ora sentirlo pronunciare da qualcun altro in modo cosi chiaro la emozionò.
    "Si!" sorrise, felice. Le sembrava di aver appena trovato un tesoro, una persona saggia che la comprendeva profondamente e non poteva esserne più felice.
    A quel punto l'avrebbe seguita anche senza bisogno di essere trascinata.
    Docilmente, si stese sul lettino, ora con una punta di curiosità. Se potevano entrare nell'infermeria in quel modo la donan doveva essere qualcuno della scuola. Scomparsa la paura del rimprovero rimaneva la curiosità. Chi poteva mai essere?
    Cercava di associarle un titolo che potesse conoscere, ma la sua attenzione venne bruscamente attirata dai fili scarlatti che la donna estrasse dal suo stesso vestito. Li osservò a bocca aperta mentre le danzavano attorno, sfiorandola dove era ferita, e constatò con crescente stupore che dove la toccavano il dolore si affievoliva o svaniva del tutto.
    Era una vera e propria magia e vederla all'opera la entusiasmò.
    Qual'è il tuo nome?
    Tatsuko distrasse la sua attenzione dalla danza dai filamenti incantati e la riportò sulla signora in bianco. C'era ammirazione nel suo sguardo, entusiasmo genuino degno di una bambina.
    "Io sono Tatsuko!" disse alzando una mano tutta contenta, come per rispondere ad un appello in classe. "...signora" aggiunse poi un po' più seria. Non voleva mostrarsi irrispettosa, ma non sapeva bene come fare.
    La donna in bianco non disse niente, limitandosi a proseguire nella sua operazione con i fili. Tatsuko pensò che doveva aggiungere qualcosa.
    "Sono stati quei ragazzi a portarmi lì" cominciò, con il tono di chi parla di che sole magnifico c'è nel cielo. "Tre hanno..." si indicò in mezzo alle gambe e fece spallucce. "... piccoli".
    Da un punto di vista di un uomo normale era un atteggiamento mostruoso. Chissà come avrebbe reagito Arashi?
    "Ma sono felice che sia successo" disse. "Perchè ho potuto incontrarla, signora" Le fece un largo sorriso: "Sono felice".
    Una persona a cui poteva sentirsi vicina, quelle cure premurose... le ricordavano i giorni in cui era stata malata e suo padre le era stato accanto fino a che non era guarita. Si, era davvero felice.
    "E lei? Come si chiama?" chiese, e le premeva la risposta. Quella donna la attirava come una luce attira una falena.
     
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    Tatsuko le raccontò la sua esperienza, non era pentita e di sicuro non sembrava scandalizzata, proprio come Arashi che con immensa naturalezza la ascoltava continuando a cucirle le ferite. Sapeva bene cosa significava subire abusi, ma soprattutto quanto potesse essere soddisfacente vendicarsi di tali ingiustizie, dando prova della propria superiorità. Tatsuko non sembrava molto provata dall'esperienza, probabilmente perché aveva ottenuto vendetta oppure, come diceva lei, perché aveva incontrato Arashi. La strega le sorrise senza troppa dolcezza, tenendo gli occhi socchiusi, concentrata sul suo lavoro. Quando ebbe finito allargò leggermente le labbra per poter accogliere tra i denti il filo servendosi della lingua, quasi lo leccò lussuriosamente, fino a tagliare il piccolo laccio rosso con i denti per poi farlo sparire.
    Il mio nome è Arashi. Sono la tua preside.
    Non ci furono cerimonie, né inutili attese, non la nemmeno guardò direttamente fino a che non ebbe finito di parlare. Fu spontanea proprio come lo era stato Tatsuko, per questo non le nascose i suoi primissimi pensieri.
    E anche io sono molto felice di averti incontrata...
    Aveva iniziato quel giorno nella speranza di trovare del potenziale, mentre ora si ritrovava tra le mani qualcosa di molto, molto meglio in maniera del tutto inaspettata. Voleva scavare a fondo in quella storia, carpire ogni segreto di quella ragazza e farla sua, così da riuscire ad ottenere un altro importante pezzo alla sua collezione.
    Vorrei che ti spogliassi... devo assicurarmi che tu non abbia danni nel resto del corpo. Sempre che tu non abbia paura di me... in quel caso sentiti libera di rifiutare.
    Non avrebbe mai costretto uno dei suoi studenti a seguirla, sebbene fosse disposta a tutto pur di indirizzarli verso la tentazione. Ma aveva già intravisto fame di potere in quegli occhi genuini e docili, sapeva molto bene con cosa aveva a che fare...
     
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    Era tutta presa da quello spettacolo affascinante, tanto che non afferrò subito ciò che Arashi stava dicendo riguardo la sua posizione all'interno della scuola. Annuì semplicemente, lo sguardo fisso sui fili rossi. Poi però il significato esatto di quelle parole la raggiunse.
    Stupita, sollevò lo sguardo e guardò Arashi come se la vedesse solo ora per la prima volta.
    "Oh" disse solo. Un'espressione ammirata le si dipinse in volto.
    "Oh!" ripetè. Si levò a sedere, ma non disse altro: la sua espressione era da sola più che sufficiente e peraltro non sapeva neppure cos'altro aggiungere. Non aveva idea cosa comportasse essere preside, però sapeva che era qualcos adi molto, molto importante e sapere che quella persona da cui aveva ricevuto una tale impressione fosse anche a un livello cosi alto le fece piacere.
    E anche io sono molto felice di averti incontrata...
    Rabbrividì un pochino a quelle parole. Quel tono non la metteva proprio a suo agio...
    Nonostante tutto, però, obbedì e si spogliò rapidamente. Non le dava nessun fastidio la cosa e in breve fu completamente nuda di fronte ad Arashi.
    "Freddo..." disse solo e si strinse i gomiti.
    Si sentiva molto emozionata.
     
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    La vedeva decisamente più tesa, che avesse perso la smodata fiducia ottenuta fino a quel momento? Probabile, ma non fondamentale. Per il momento Arashi aveva interesse esclusivamente al suo potenziale e alla sua giovane figura, il resto non aveva importanza. La sua fiducia poteva conquistarla con i gesti e con i favori, cioè che non poteva fare più tardi era capire se quella forza le sarebbe rimasta fedele, disposta a fare qualsiasi cosa pur di svilupparla e soprattutto farlo nella culla della strega. Rimase in attesa mentre Tatsuko si denudava, restando infreddolita davanti a lei, forse a causa dell'aria condizionata presente nella stanza. Un segno di debolezza insolito per una che aveva massacrato un gruppo scelto di guerrieri. Arashi rimase ad esaminarla passandosi le dita sotto il mento, i suoi occhi non erano diversi da quelli di uno scienziato che scruta attraverso il vetro di una fiala il proprio esperimento.
    Il tuo corpo è giovane, forte, si vede che è pieno di potenziale.
    Volle comportarsi come una madre affettuosa però, per questo una volta dimostrata la fiducia nei confronti di Arashi, la strega della tempesta si alzò lentamente in piedi, allargando altrettanto lentamente le proprie braccia verso di lei.
    Piccola, hai davvero così tanto freddo? Lascia che ti riscaldi io. Ti farò conoscere un tepore che nessun altro ti donerà mai, e non avrai mai più freddo...
    L'abbraccio di un uomo o di un amante erano senza dubbio piacevoli, ma non quanto la stretta di un incanto, il tocco di una stregoneria pura, quando il potere diventa tepore. Tatsuko, accettando il suo invito, si sarebbe sentita più al sicuro che mai, esattamente come quando Arashi le aveva lenito le ferite con le sue fibre magiche.
     
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    Si mosse un po' a disagio sotto lo sguardo indagatore di Arashi. Dopo aver visto la magia della strega, ora le sembrava che quegli occhi potessero penetrare dentro di lei, leggerla come fosse un libro aperto fino al più piccolo, intimo pensiero. Le pareva di avere di fronte un'esistenza che brandiva un potere misterioso e imperscrutabile, e che poteva brandirlo per fare qualsiasi cosa. Di fronte ad essa, lei, piccola e indifesa, era come un agnellino passato in rassegna per scopi che non poteva comprendere.
    Solo di fronte a suo padre e alla sua sorella maggiore si era sentita cosi messa a nudo.
    Rabbrividì di un misto di ammirazione e paura. Avrebbe voluto scappare via e contemporaneamente vedere altro delle capacità di Arashi.
    Il tuo corpo è giovane, forte, si vede che è pieno di potenziale.
    Registrò quelle parole con un cenno della testa. Parole simili le erano già state dette da altre due persone e sentirle dire da Arashi le procurò la stessa soddisfazione per sè stessa.
    Piccola, hai davvero così tanto freddo? Lascia che ti riscaldi io. Ti farò conoscere un tepore che nessun altro ti donerà mai, e non avrai mai più freddo...
    Tatsuko guardò quelle braccia aperte come se fossero l'entrata per un nuovo mondo sconosciuto, un mondo che forse non l'avrebbe più lasciata andare ma che prometteva grandi cose.
    Freddo? Si, aveva freddo.
    Ripensò ai pomeriggi passati da sola, a guardare il sole finchè non tramontava spegnendosi, rosso come un moribondo, alle notti insonne, con la nostalgia per la sua famiglia che la teneva sveglia. Le piaceva la vita, la città, le persone, ma non riusciva mai ad entrarvi veramente, ad integrarsi. Assieme ai suoi compagni era felice, anche andare da sola, scoprire il mondo, la divertiva, ma c'erano momenti in cui sentiva di non appartenere davvero a nessun posto, perchè la sua casa, la sua unica vera casa era lontana dietro di lei...
    E ora Arashi era lì a chiederle di venire ada lei, perchè quel freddo che sentiva ogni volta che la solitudine l'afferrava sparisse per sempre.
    Prese ad avvicnarsi a lei, circospetta come un cerbiatto attirato da un suono che lo invita gentile. Le si fermò di fronte, insicura su cosa fare.
    Quel potere misterioso che Arashi rappresentava, la sua figura e le sue parole la attiravano e impaurivano, ma non voleva più, non voleva più sentirsi sola...
    Lentamente, entrò nel suo abbraccio, affidandosi a lei completamente. Appoggiò l'orecchio contro il suo petto. Sentiva il suo cuore che batteva. Sentiva tepore.
     
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    Arashi la strinse a sé donandole tutto l'affetto di cui aveva bisogno. Quella ragazza era smarrita, aveva bisogno di una guida e adesso l'aveva trovata. No, non solo una guida: qualcosa di più. Una madre amorevole che per lei avrebbe chiesto solamente il meglio. Dora doveva solo testare la sua fedeltà, la sua fiducia nei confronti della strega, capire se era disposta ad entrare in confidenza con le e abbandonarsi del tutto al suo potere. Le accarezzò il capo lentamente sentendo tra le proprie dita quei capelli lunghi, lisci, setosi. Ancora sporchi per colpa della fatica provata prima nel combattimento ma comunque piacevoli al tatto, profumati. Arashi l'avrebbe accolta nel suo petto, lasciandole tutto il tempo che voleva per abituarsi, poi lentamente le avrebbe spinto la testa verso l'altro, come ad invitarla di nuovo a guardarla negli occhi. Ma nessuno sguardo per Tatsuko, solo le labbra rosse e carnose della strega, intente ad avvicinarsi verso di lei. A meno che la ragazza non si rivelasse del tutto incapace di accettarla, Arashi avrebbe cercato con lei un bacio, non puro e casto come il loro abbraccio ma colma di lussuria, di piacere. Aveva avvertito dalle sue parole l'insoddisfazione nel rapporto con cui ragazzi, allora lei le avrebbe lasciato conoscere il piacere vero, il piacere puro, altra prova del suo incommensurabile amore.
     
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    "Che bel calore..." pensò.
    Le dita di Arashi erano delicate come un sospiro carezzevole, il suo cuore tranquillizzante battito regolare. Tatsuko si sentiva al sicuro, protetta, a casa. Il calore della strega la avvolgeva completamente in un bozzolo confortante di piacevole tepore che cancellava ogni dispiacere e la invitava a dimenticare ogni altro pensiero.
    Chiuse gli occhi. Era bello.
    Poi, Tatsuko sentì le dita di Arashi invitarla a sollevare il viso verso di lei. Leggermente stupita, obbedì e la guardò.
    Attraverso il calore il viso della strega si faceva più vicino, le labbra tese in una mutua richiesta.
    Tatsuko ci mise un istante a comprendere, la bocca tesa in un'espressione sorpresa. Sorrise, e, lieve come una brezza, sfuggì all'abbraccio di Arashi, facendosi indietro.
    Rimase a guardarla a un po' di distanza, tenendosi un gomito dietro la schiena, con uno dei suoi larghi sorrisi a mezzaluna.
    "Arashi-sama" disse, usando gli onorifici che le erano stati insegnati da suo padre. Il "sama" indicava il massimo grado di rispetto, non pensava che avrebbe potuto usarne un altro. "A Tatsuko le donne non piacciono" disse e rise, come se si fossero trovate in una situazione divertente.
     
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    Un sorriso benevolo si dipinse sul volto della strega, bloccatasi completamente una volta che Tatsuko iniziò a ridacchiare divertita. Arashi si unì a lei, accarezzandole la testa con fare affettuoso e poi darle qualche colpetto senza nessuna cattiveria, sempre sul capo. La mano di Arashi scivolò delicatamente sulla guancia e il mento di Tatsuko, per poi fare un passo indietro e darle le spalle.
    Può bastare, rivestiti pure piccola mia.
    Con un rapido movimento delle mani, sistemò la pelliccia che avvolgeva il suo corpo, portandola sulle spalle mentre spalancava la finestra della piccola camera medica della scuola, in modo che entrassero luce ed aria. Diede il tempo alla sua allieva di rivestirsi, ma mentre ancora non aveva completato la preside si voltò verso di lei, completando il discorso.
    Ti consegnerò al più presto un Ultradivisa che ti permetterà di utilizzare al meglio i tuoi poteri. Da oggi in poi ti allenerai come una studentessa d'élite in questa scuola... renderai fiera te stessa, la tua famiglia, la tua nazione... e soprattutto me.
    Completato quel breve discorso con una punta di amaro egoismo, Arashi si diresse verso la porta di uscita, concedendo alla ragazza tutto il tempo di cui aveva bisogno per sistemarsi. Si sarebbero rincontrate preso, specialmente per osservare i suoi risultati...
     
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    Tatsuko si godette quelle carezze sulla testa come un gatto che fa le fusa, sorridendo contenta, e quell'espressione non l'abbandonò neppure quando Arashi le volse le spalle: il suo calore le era rimasto addosso e la cullava.
    Alla fine, obbediente, prese a rivestirsi senza fretta. Pensava che era stata davvero fortunata quel giorno: aveva finalmente trovato qualcuno che la faceva sentire a casa.
    Prese a canticchiare allegramente tra sè.
    Ti consegnerò al più presto un Ultradivisa che ti permetterà di utilizzare al meglio i tuoi poteri. Da oggi in poi ti allenerai come una studentessa d'élite in questa scuola... renderai fiera te stessa, la tua famiglia, la tua nazione... e soprattutto me.
    "Sissignora!" disse tutta contenta saltando sull'attenti. Non afferrava il significato di parole come "elitè" o "Nazione", però di sicuro suo padre avrebbe voluto che lei diventasse più forte e di sicuro non voleva deludere la sua nuova madre acquisita. Ce l'avrebbe messa tutta per corrispondere alle sue aspettative.
    Solo quando Arashi uscì la sua espressione cambiò: tirò fuori la lingua e schiuse un occhio, come una bimba che si è appena resa colpevole di un dispetto poco simpatico.
    "Ops, ci è rimasta male" disse con la mano dietro la nuca.
    Ridacchiò, e uscì a sua volta, canticchiando a bassa voce tra sè un motivetto allegro.

    Bella role. Grazie :asd:
     
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